Space Electronic

Nel percorso che ci permette di ricostruire la storia del clubbing nostrano, lo Space Electronic rientra in quella corrente architettonica, l’unica, che si è occupata di progettare discoteche: l’avanguardia dell’Architettura Radicale.

Allo Space Electronic, tra convegni sull’Architettura Radicale, proiezioni in loop di fotografie del progetto spaziale Apollo, allestimenti dal design pop, qualche performance teatrale (su tutte si ricorda quella della compagnia newyorkese The Living Theatre) e installazioni con acqua o vegetali, si poteva assistere a una serie di concerti per appagare così tutti i sensi.

Si spaziava dal rock’n’roll, come quello dell’inaugurazione con Dik Dik e New Trolls, a gruppi beat come The Rokes o gli Sopworth Camel, oppure si migrava dai live progressive rock folk degli Audience alle esibizioni più freak dei Canned Heat (osannati a Woodstok) passando per session di stampo jazz con Jimmy Smiths. Insomma, lo Space Electronic aveva una programmazione sia nostrana che internazionale invidiabile e, per di più, era ospitato in un luogo progettato dallo studio d’architettura Gruppo 9999, attivo nel dibattito architettonico dell’epoca insieme con tutti i gruppi radicali come Superstudio, Archizoom, Ufo e Strum.

Insomma, lo Space Electronic aveva una programmazione sia nostrana che internazionale invidiabile e, per di più, era ospitato in un luogo progettato dallo studio d’architettura Gruppo 9999, attivo nel dibattito architettonico dell’epoca insieme con tutti i gruppi radicali come Superstudio, Archizoom, Ufo e Strum.

Lo Space Electronic inaugura il 27 febbraio del 1969 a Firenze. L’idea nasce da Carlo Cladini e Fabrizio Fiumi, che tra il 1967 e il ’68, per motivi diversi, vivono la loro esperienza americana.
Interessati oltre che all’architettura anche a musica e arte, per lo Space Electronic vengono particolarmente influenzati da locali come il Fillmore di San Francisco, lo Shrine di Los Angeles e soprattutto l’Electric Circus di New York, con il suo gioco di luci e immagini impressionante. Così in quell’ex officina di rettifica motori di via Palazzuolo vogliono anche loro creare un multimedia enviroment, che offra al pubblico più stimoli possibile grazie a installazioni, videoproiezioni, performance e architettura.

Carlo si occupa del ponte e della regia, Fabrizio progetta ingresso, bar e balconata, mentre Paolo Galli (altro membro del gruppo) pensa all’arredo interno con i cestelli di lavatrice e i sacconi di polietilene lunghi sei metri riempiti di gommapiuma; in realtà ognuno si confronta con gli altri per i lavori. All’ingresso del locale c’è un primo televisore che, grazie a una telecamera interna, mostra le persone che nelle altre sale ballano; al piano “underground” ci sono un lounge bar con i “serpentoni” di plastica e un acquario tropicale con tanto di piranha, mente al piano rialzato spiccano il parallelepipedo nero dove si tengono i concerti e la sala regia da dove vengono azionate le luci stroboscopiche e proiettate le immagini che illuminano folla e pareti.
Di giorno la vasta sala da ballo viene usata dal 9999 e da alcuni studenti della Facoltà di Architettura come aula in cui progettare e tenere performance.

Space Electronic 1970 © Gruppo 9999 Carlo Caldini
Space Electronic 1970 © Gruppo 9999 Carlo Caldini

 

I live proseguono fino al 1975, quando scompaiono la musica dal vivo e i concerti internazionali lasciando spazio alle contestazioni del movimento controculturale con slogan “tipo “la musica è di tutti, musica gratis””. Con l’’avvento della febbre del sabato sera allo Space non resta che adeguarsi ai tempi e diventare “solo” una discoteca, che mantiene il suo fascino storico architettonico, ma non quello di ricerca e sperimentazione.