Catharine Rossi insegna alla Kingston University di Londra ed è una ricercatrice e studiosa di design. Catharine ha pubblicato anche due libri che trattano il tema dell’Architettura Radicale “Between the nomadic and the impossible: radical architecture and the Cavart Group” e “The Italian Avant-Garde: 1968-1976″. Alla 14. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia ha curato l’installazione “Space Electronic: Then and Now” dove attraverso un video, immagini, luci e oggetti ha ricreato e raccontato la storia – arrivando fino ai giorni nostri – del locale fiorentino progettato da Grupppo 9999, studio di architettura dell’avanguardia Radicale.
Dopo essere stata intervistata da Riccardo Benassi, nel suo intervento alla Biennale ci ha raccontato perché è importante oggi l’architettura radicale e, con enorme piacere, scopriamo che le discoteche sono la principale chiave di lettura per capire il valore di questa corrente architettonica.
L’Eredità radicale
Come prima cosa vorrei ringraziare Zero per l’invito a partecipare a quest’evento, molto innovativo e importante nella Biennale, in particolare per lo sforzo di mettere a fuoco elementi diversi di una storia troppo sconosciuta, incluso il rapporto tra l’architettura e gli spazi di svago sia nel passato sia nel presente.
Secondariamente, vorrei dire che questa è la prima volta che faccio un discorso in italiano. Anche se ho il cognome italiano, come si può sentire io sono inglese – e dunque chiedo perdono per un discorso preparato e inevitabilmente con qualche errore. Per iniziare: sono una storica di design con sede a Londra, dove la ricerca include il design italiano, e sono coinvolta in questa Biennale con l’installazione “Space Electronic: Then and Now”, che è il culmine della mia ricerca.
Ok, adesso comincio davvero. Sono stata invitata a parlare dell’architettura radicale, in particolare per discutere perché l’Architettura Radicale è – o almeno sembra – importante oggi. Nel contesto di Monditalia si più avere fiducia che l’architettura radicale è di molto interesse. È il tema di almeno quattro installazioni– tra gli altri “La Fine del Mondo”, “Nightswimming”, “Superstudio: The Secret Life of the Continuous Monument” e “Space Electronic: Then and Now”. Lo trovavate anche in due dei Weekend Special precedenti – Radical Pedagogies e Towards a New Avant-Garde, che guardavano alla storia dell’architettura radicale e ne mettevano in discussione l’attualità. Non è un caso che lo slogan di Towards a New Avant-Garde, nel quale ero coinvolta, è “Stay Radical”: una frase di Paolo Deganello del gruppo radicale Archizoom Associati.
E al di là dei muri dell’Arsenale si possono trovare altre prove della popolarità dei Radicals nelle numerose mostre e pubblicazioni su personaggi e gruppi – come Archizoom e Global Tools – ed eventi come la celebre mostra “Italy: The New Domestic Landscape”, del MoMA a New York nel ‘72.
Dunque l’architettura radicale è molto di moda recentemente e ci dobbiamo chiedere perché. Perché c’è questo fascino per un’avanguardia di quaranta, cinquant’anni fa, che è durata un decennio – o anche meno – e che ha coinvolto degli individui e gruppi disparati che non avevano – tranne casi eccezionali come le discoteche Mach2 di Superstudio e Space Electronic di Gruppo 9999 – progettato un’architettura fisica? Certo c’è una spiegazione negativa nella nostalgia problematica per la generazione del ’68, le cui proteste, occupazioni e azioni utopiche sono state seguite, almeno temporaneamente, dalla cultura di riflusso in Italia. E tra le domande che la mia installazione chiede – in modo critico anziché nostalgico – c’è anche la voglia di capire cos’è successo all’energia radicale dello Space Electronic e all’avanguardia radicale in generale? Esistono degli spazi simili oggi? Cos’è la differenza tra la radicalità di ieri e oggi? Perché per forza dovrà esiste anche oggi.
Nell’aspetto seducente delle immagini create c’è forse un’altra spiegazione. In un certo senso i gruppi come Archizoom – qui con “No Stop City” – e Superstudio non dovevano costruire degli edifici, perché avevano prodotto degli immagini così spettacolari che avevano avuto abbastanza fama e influenza attraverso i periodici e altri strumenti di comunicazione che ci portiamo fino ad oggi. Questo spettacolo è anche un problema, perché c’è il pericolo che il fascino ha inibito l’occhio critico alle idee presentate.
Ma per me, la presenza culturale fortissima di fronte all’assenza costruita è spiegata dell’importanza vera dei radicali oggi. È ben inteso che ci sono dei confronti tra gli anni settanta e questi anni: anche noi siamo in un periodo d’inegualità e recessione economica, di crisi ambientale e agitazione globale, nel quale vediamo la ricomparsa della coscienza politica e sociale nei giovani creativi. Come le controparti negli anni settanta, concepiscono l’architettura e design non come professioni per la creazione delle merci nuove o edifici progettati solo per guadagno ma come gli strumenti per un critico e cambiamento sociale. C’è un interrogatorio dei fondamenti della professione e un desiderio di approcci alternativi, una situazione in cui l’opera degli architetti radicali può offrire delle lezioni utili.
Per i minuti rimasti vorrei offrire alcuni esempi di queste lezioni.
La prima è l’intento che se si vuole cambiare il mondo e migliorare l’esistenza umana non basta progettare prodotti o spazi nuovi: si devono anche progettare i comportamenti nuovi. Quest’idea era la premessa di progetti come Atti Fondamenti che Superstudio ha presentato alla mostra a MoMA nel ’72. Come l’architetto Frassinelli può spiegare molto meglio di me, Superstudio immaginava una vita senza oggetti – o piuttosto una vita post-capitalista senza il nostro feticcio della merce. Invece gli oggetti sono gli strumenti per servire le necessità fondamentali di un’esistenza connessa e nomadica – una visione che presenta una premonizione della nostra vita “wired” d’oggi.
Si vede l’utilizzo dell’architettura per migliorare l’atteggiamento umano anche nel Gruppo 9999. L’architetto Caldini che può offrire una spiegazione più elegante, ma insomma il gruppo fiorentino desiderava un rapporto più armonioso tra l’uomo, l’ambiente e la tecnologia – un altro esempio del pensiero anticipatore degli architetti radicali, in questo caso legato all’impulso sostenibile – che è molto più diffuso oggi. Trovo affascinante che il gruppo ha non solo espresso quest’idea attraverso le immagini ma ha anche creato uno spazio fisico per esplorare quest’utopia, nella forma della discoteca Space Electronic: fondata a Firenze nel ’69 e che rimane aperta oggi. Qui, proprio nel centro della pista da ballo, ha installato un orto – un paradiso di cavolfiori, lattughe, finocchio. In onestà volevo portare anch’io le verdure nell’Arsenale, ma non ci sono riuscita.
E, per non dimenticare, anche l’architettura stessa era utopica. 9999 nel caso dello Space Electronic e Piero Derossi nel caso del Piper di Torino hanno concepito la discoteca come una nuova tipologia architettonica, molto più coinvolgente e liberatoria del linguaggio spaziale che esisteva prima, e molto più adatta a nuovi tipi di musica, di moda, di comportamenti e valori sociali degli anni sessanta. Il Piper di Torino e l’Altro Mondo Studios di Rimini di Derossi lo Space Electronic di 9999 e il Mach2 di Superstudio erano contenitori adattabili a vari usi, attrezzati con la tecnologia più avanzata – per massimizzare il senso di un communità di individui liberi – un senso che cerchiamo di riprodurre con le tecnologie d’oggi.
Ovviamente ci sono molto più esempi che potrei discutere – sia delle discoteche radicali che degli altri tipi di idee degli architetti del movimento. Comunque finisco qui, con le discoteche – ancora troppo sconosciuto nella storia di architettura – e che per me rappresentano il motivo principale dell’importanza dell’architettura radicale oggi. Da una parte l’architettura radicale solleva le questioni difficili, ma importanti, come del rapporto delle avanguardie con gli affari – perché Space Electronic è un commercio che esiste tuttora – ma dimostra anche il raggiungimento di una certa qualità, molto alta, da ripetere, come da ripetere è il rapporto con le altri arti e anche il tentativo di liberarci.
Tutti questi aspetti dimostrano che l’architettura radicale era un’avanguardia connessa alla realtà di quegli anni, e aveva usato le abilità della professione per creare tipi nuovi di spazi necessari per agire meglio in un mondo futuro. È questo senso civico e utopico che è la mia giustificazione per continuare a studiare e parlare dei radicali sia con voi sia con i miei studenti.