Prima di Traktor o di aggeggi per fare effetti vari sui vinili il dj era solo un “metti dischi”. Così si definiva Daniele Baldelli quando nel 1969 ha iniziato a mettere i dischi, appunto. Alla Tana, nel suo primo locale, suonava i dischi del proprietario nell’ordine che egli gli indicava, poi passando al Tabù Club e facendosi aumentare la paghetta ha iniziato comprarli lui, e col tempo si è pure indebitato parecchio (fino a undici milioni di debiti). Con i suoi dischi e la sua selezione in un paio d’anni ha reso storico uno sporting club con ingresso riservato ai soci che poi divenne la prima discoteca a fare le sei del mattino: la Baia degli angeli. Poi Daniele passa al Cosmic sul Lago di Garda e qui, senza volerlo, fa nascere un genere musicale: il cosmic, che ora ci invidiano e richiedono in tutto il mondo. Nell’intervista ripercorriamo alcune tappe della vita del primo dj italiano, provandogli a chiedere anche cosa succedeva in generale in riviera romagnola tra gli anni 70 e 80.
Sei di Cattolica e hai praticamente visto nascere oltre che la figura del dj anche molte delle discoteche della Riviera, come mai secondo te proprio in questa zona c’è stata una così alta concentrazione di sale da ballo?
Daniele Baldelli: Dal 1969 ai primi anni 70 a Cattolica le discoteche così come anche i dancing proliferavano continuamente, penso che nella sola Cattolica almeno 10-15 locali erano aperti durante l’estate. Ovviamente non mi sono mai chiesto se fosse così anche nelle altre parti d’Italia. Probabilmente trovandoci in una zona turistica il terreno era fertile, bisogna considerare che allora la popolazione del paese era di 16.000 abitanti, ma che d’estate, con il turismo, si arrivava a 80/100 mila presenze. Quindi, come si suol dire, dove c’è la domanda si crea l’offerta.
Come ti sei avvicinato al mondo della notte? Dove andavi a ballare?
D.B.: Quando avevo 16 anni frequentavo il Tana Club Discoteque a Cattolica (il gestore era stato in Francia dove aveva visto alcuni music-bar che si chiamavano appunto: discoteque) un locale per giovanissimi aperto anche la domenica pomeriggio. Probabilmente essendo abbastanza timido passavo più tempo ad osservare quel ragazzo che, in uno spazio ricavato nel bancone bar, metteva i dischi. Probabilmente fui notato dal proprietario del locale, il quale qualche tempo dopo, avendo litigato con quel ragazzo, mi chiese se volevo farlo io. Non mi ricordo se allora si parlava di dj…
Probabilmente fui notato dal proprietario del locale, il quale qualche tempo dopo, avendo litigato con quel ragazzo, mi chiese se volevo farlo io. Non mi ricordo se allora si parlava di dj…
Quando ti chiedevano: “ma tu cosa fai?”, la risposta era: “metto i dischi alla Tana”.
Ed era proprio così, perché il proprietario preparava i dischi in fila (tutti 45 giri) e io dovevo metterli uno dietro l’altro seguendo il suo ordine prestabilito. C’erano due giradischi muniti di una manopola per il volume, praticamente abbassavi il volume del disco che stava per finire e alzavi il volume del successivo. Senza cuffie né preascolto con l’accortezza di ridurre al minimo il vuoto musicale.
Come sei approdato alla Baia degli angeli? Prima dove suonavi?
D.B.: Come dicevo prima, ho cominciato nel 1969 al Tana Club e pochi mesi dopo ha aperto un nuovo locale, il Tabù Club. Vengo contattato e accetto il nuovo incarico. Nel frattempo la tecnologia si adegua, arriva un primo mixer, la cuffia, il preascolto… Rimango lì fino al 1976. D’inverno era aperto sabato sera, domenica pomeriggio e domenica sera, d’estate (dal 15 maggio al 30 settembre) era aperto tutte le sere dalle 21.00 alle 03.00. Stagioni indimenticabili, sempre pieno tutte le sere!
Un Pomeriggio di settembre entrano nel locale i due dj della Baia degli angeli, Bob Day e Tom Sison, alla fine del pomeriggio si complimentano con me per la mia scelta musicale. Nasce un’amicizia che li portò a segnalarmi alla Baia degli Angeli quando decisero di tornare in USA.
In quel periodo suonavo già una mia selezione di dischi, perché siccome il boss non comprava mai dischi nuovi gli proposi di alzarmi la paghetta, così ci avrei pensato io all’acquisto. In questo modo ho cominciato a farmi la mia discografia personale (dal 1970 ad oggi).
Parallelamente un altro socio della Baia degli angeli, aveva contattato un altro dj della zona, così nel settembre/ottobre del 1977 ci ritrovammo insieme alla consolle della Baia degli Angeli: Daniele Baldelli & Claudio Rispoli (aka Mozart). Prima la Baia era uno sporting club e credo si chiamasse già Baia degli Angeli, ma è dal 1975 che tutti la conobbero come tale.
Raccontaci com’era architettonicamente la Baia ai tempi?
D.B.: La Baia degli Angeli era una costruzione situata sulla collina di Gabicce, vista mare, completamente bianca. Quasi a forma di una grande L, su tre piani sfalsati, aperti e comunicanti tra loro. Dava l’idea di una costruzione tipicamente mediterranea. Il colore bianco poi contribuiva all’effetto scenico creato dalle luci. La consolle era sistemata in un’ascensore dalle pareti di vetro. Così durante la serata potevi salire o scendere dal primo al secondo piano per avere una visione totale delle piste.
Cosa suonavi tu e cosa invece si sentiva negli altri locali della Riviera che stavano pian piano aprendo?
D.B.: Non ho mai saputo cosa suonavano gli altri, quando suonavo alla Tana e al Tabù ero sempre lì e quindi era impossibile per me andare ad ascoltare altri dj nelle altre discoteche. Compravo dischi nell’unico negozio di dischi di Cattolica, che vendeva anche lampadine, pile, frullatori e frigoriferi e ovviamente i primi mangiadischi. Il Tabù Club chiudeva alle tre di notte come tutti gli altri locali. Invece la Baia degli Angeli fin dal suo esordio, stava aperta fino alle sei del mattino. Fu lì che sentivo cosa suonavano altri dj.
Il Tabù Club chiudeva alle tre di notte come tutti gli altri locali. Invece la Baia degli Angeli fin dal suo esordio, stava aperta fino alle sei del mattino. Fu lì che sentivo cosa suonavano altri dj.
Bob e Tom avevano dei dischi mai sentiti, avevano tantissime copie promozionali che nel mercato italiano manco si sapeva cosa fossero (a noi dj italiani ci venivano a regalare quei dischi che poi si sentivano nei jukebox).
Fortunatamente, in breve tempo ha preso piede l’importazione diretta dei dischi (prima un disco straniero lo trovavi solo se qualche etichetta italiana prendeva la licenza e lo stampava). A Rimini c’era un grande negozio che si chiamava Dimar e lì trovavi di tutto, dalla classica al jazz, dal pop alla musica da discoteca. Poi sono nati i primi negozi specializzati per dj, come Disco Più a Rimini. È stato lì che si è cominciato a interagire, a parlare, a confrontarsi, a curiosare su cosa suonava questo o quello. Lì avevo la fama di uno che spendeva tutto in dischi, compravo di tutto, anche quello che gli altri scartavano. Gianni (che lavorava al negozio) mi faceva credito nei momenti bui, ero arrivato anche ad un conto in sospeso di undici milioni di lire!
Qual era la dinamica, il motivo principale, che faceva muovere così tanta gente verso la Baia? Siamo in un’era pre-internet, era tutto basato sul passaparola che si espandeva sempre di più o c’erano già dei pr che promuovevano il locale?
D.B.: No, non c’erano pr così come sono intesi oggi. Probabilmente la scelta del personale, gente simpatica o di bella presenza o con un grande “savoir-faire” funzionavano poi anche come pr grazie al loro carisma. La Baia nel 1974 era comunque un locale abbastanza esclusivo. In breve è diventato famoso attraverso il passaparola, fino a diventare una meta ambita, un posto dove bisognava esserci e dove la musica era avanti.