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Mauro “Boris” Borella

Link Muzik o Muzak?

Mauro "Boris" Borrella è una figura chiave per capire le scelte del Link Project in fatto di musica elettronica. Genovese d'origine, arriva a Bologna nei primi anni Novanta con la voglia di mettersi in gioco e un desiderio di rivalsa nei confronti del mondo della notte, a causa soprattutto dell'approccio di discoteche e radio mainstream. Al Link, concertando con le altre redazioni le sue scelte, Boris trova la propria dimensione (più avanti perduta e con onestà ci spiega come sia successo) e instaura un rapporto stimolante e collaborativo con numerose realtà internazionali. Con il suo lavoro e la collaborazione di Andrea Benedetti e Marco Passarani, al Link sono passati: Aphex Twin e molti della Rephlex, Marco Carola, un giovanissimo Plastikman, Alex Paterson dei The Orb, Jeff Mills e molti altri con cui balliamo ancora oggi. Ci racconta com'è iniziato tutto partendo da un rave gitano sotto il ponte del Reno.

 


 

Nella provocazione del titolo si ritrova la visione o, meglio, la proiezione d’ascolto che ci ha accompagnati nel Link di via Fioravanti 14, dietro la Stazione Centrale di Bologna dal 1994 al 2004, e per qualche anno anche nella nuova e attuale sede di via Fantoni 21 (sempre a Bologna) in zona San Donato; un'area suburbana dove il Link, nonostante le problematiche dovute al folle decentramento, è ancora vivo e lotta anzi, balla insieme a noi.

Al Link ci ero arrivato infilandomi tra gli spiragli del centro sociale Isola nel Kantiere e il collettivo del corso che frequentavo al Dams, con un ruolo che andava dallo spettatore al fiancheggiatore. Finché, a un certo punto, stanco di troppo settarismo estetico-musicale o elitarismo intellettuale, decisi di mettere in pratica quello che volevo fare fin dall’età di 10 anni: organizzare spettacoli in cui coinvolgere più gente possibile, sia sopra che sotto il palco. E così feci per i successivi 15 anni.

Decisi di mettere in pratica quello che volevo fare fin dall’età di 10 anni: organizzare degli spettacoli in cui coinvolgere più gente possibile, sia sopra che sotto il palco. E così feci per i successivi 15 anni.

A onor del vero chi mi offrì l’occasione di mettermi in moto e in mostra in tutta la mia attività e voglia di muovermi furono i miei compagni di università, che mi incaricarono di organizzare il gran finale di un’iniziativa pro-spazi, in pratica mettere in piedi il primo e unico rave etnico elettronico - mai più rifatto - in Italia, "The Rage of Gyspy Rave", "La rabbia del rave dei gitani".

Il primo rave illegale a Bologna fu insomma organizzato per attirare l'attenzione su alcune famiglie profughe della guerra in Jugoslava, che allora stazionavano sulle sponde del Reno. Sotto un ponte allestimmo una festa in cui violini tzigani e giradischi Technics si unirono fino al mattino miscelando musiche e persone come non era mai accaduto prima. Tutto venne organizzato con la benedizione dell’Opera Nomadi, la curia cittadina, che scongiurò irruzioni di reparti speciali o vigili urbani avvertendoli circa la buona causa dell'evento e nonostante il casino delirante.
Si può quindi dire che il cardinale Biffi fu il mio primo sponsor e indiretto pigmalione, perché grazie a quel festone (ancora oggi memorabile) mi accreditai in città come organizzatore di eventi di musica elettronica, e con tale benedizione l’anno successivo mi si aprirono le porte di via Fioravanti (manco fosse San Petronio).

 

The Rage of Gipsy Rave, 1993 Bologna
The Rage of Gipsy Rave, 1993 Bologna

 

In quella che poi sarebbe divenuta la "basilica" della musica elettronica da ballo e da ascolto il quesito fu subito: intrattenere o sorprendere? Infastidire, cercare la rottura, anche dei timpani alle volte, disattendere le aspettative, violare il consenso di quella musica commerciale di facile ascolto e poco impegnativa, diffusa come sottofondo solo per intrattenere, oppure trovare un altro modo per scuotere coscienze e opinioni ?

Nessuno poteva dare una risposta; le intenzioni non erano chiare, di certo far soldi, ai tempi, non interessava a nessuno, di rompere troppo le palle nell'accezione anti-music-system (vedi punk, hardcore, indie o altro del genere) nemmeno.
Si preferì quindi una via mediana, in modo da soddisfare e placare gli animi dei primi redattori musicali, che lavoravano per l'house organ e che si incontravano ogni martedì pomeriggio in riunioni di palinsesto aperte a tutti (oggi impensabili). In quei momenti di alta dialettica si cercava di andare incontro a un pubblico colto, universitario, molto più attento e critico dell’attuale (a pari età e livello di scolarizzazione).
La redazione coinvolgeva musicisti e persone molto competenti nei loro generi: Stefano Zorzanello, Enrico Croci, Alberto “Albertik” Bario e altri che arrivarono dopo come Clinio Occhi, Paolo Gabrielli, Renato Amata, Flavia Dangeloantonio, Daniela Cattivelli, più qualcuno che non ricordo o che ho dimenticato. La redazione era aperta a tutti e sempre pronta ad accogliere, o rifiutare, le proposte esterne, la maggior parte delle quali non aveva un'auto sussistenza economica e nemmeno contenutistica.

Per sedare quei momenti di tutti contro tutti, tipo partita di calcio fiorentino, quando ognuno di noi pensava di avere in tasca il verbo musicale, venne coniata (forse da Clinio Occhi) la frase manifesto “spazi differenziati a velocità sonora variabile“

“spazi differenziati a velocità sonora variabile“

che mise d’accordo tutti, dividendo l’organizzazione degli eventi musicali negli spazi (sale) e nel tempo (giorni della settimana).
Le serate iniziarono a prendere forma nelle prime due sale allora allestite, quella Blu al piano superiore e la Nera (ancora in allestimento) nel seminterrato; si iniziava con i concerti per poi lasciare spazio a live elettronici e ai primi, timidi, dj set, mal digeriti dall’intellighenzia interna (e soprattutto esterna), che li considerava ancora troppo discotecari e destroidi (della serie: il reggae è di sinistra, la techno è di destra o idiozie simili)

Ma si andava avanti, si lottava. Da una parte la difficile musica eterodossa, post jazz (vedi la scuola Ivan Illich e/o Angelica Festival) fuoriuscita da via Guerazzi 20, una delle sedi del DAMS, e dal suo collettivo Damsterdamend e da tutte le realtà produttive nate in quelle improvvisate sale prove, e dall’altra il primo post rock, i rimasugli dell’hip-hop, un po’ di EBM, noise (meglio se giapponese) e soprattutto la prima dance elettronica o techno che, superato l’edonismo dei club rivieraschi e la proposta “albertina” delle radio mass market come Deejay o Radio Italia Network, si stava rivelando nella sua accezione più intelligente e riflessiva.

 

I rapporti con le altre redazioni non furono subito dei migliori; già si percepiva la diffidenza nei confronti di chi, come noi, spingeva per l’apertura del Link verso contenuti indirizzati a una frequentazione più trasversale e disimpegnata, ma non ci potevano ostacolare più di tanto: il Comune non passava un ghello (un soldo - n.d.r.) e che ne dicano oggi a distanza di anni noi, i concerti e il bar, eravamo i finanziatori neanche tanto occulti della struttura e del progetto e questo ci permise di proseguire nel percorso del Link Project.
Le prime suggestioni ci arrivarono dai vicini Mutoid Waste Company (erano e sono a Santarcangelo di Romagna) di cui faceva parte Martin Paterson, fratello di quel Alex Paterson dei The Orb. Proprio con quest'ultimo organizzammo i primi rave party e la prima vera serata di grande richiamo quando al Link nell’autunno del 1995 si aprì la sala bianca, con un'indimenticabile selezione multi genere di Alex coadiuvata da un'istallazione dei Mutoid, delle nostre Officine Alchemiche / Gruppo Zero.

 

 

Preferimmo fare questo tipo di party rispetto a un'esibizione di un certo Sven Väth giudicato allora e giustamente troppo commerciale per il nostro centro. La data di Sven Väth l'avevo proposta negandola io stesso: era un bonus per l’annullamento di un suo dj set previsto nell’estate precedente al Cocoricò, club dove lavoravo come consulente alla programmazione dei dj stranieri (e sulla riviera si potrebbe aprire un altro capitolo, ma focalizziamoci sul Link). Decisi io stesso che il Link non era il luogo per Sven e per il suo sound, allora decisamente euro trance; ricordate Harlequin / The Beauty & The Beast?

 


 

Con quella decisione, condivisa da tutta la redazione, marcai territorio e pista, come un cane su un angolo; e la mia urina era acida, anzi caustica come il “Caustic Window”, che al Link avrebbe poi suonato per anni.

 

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Link Project 1995, Aphex Twin aka Caustic Window

Ma qui siamo andati troppo avanti. Torniamo a quel rave illegale sotto il ponte del Reno: fu un momento topico per tutta quello che sarebbe accaduto dopo. In quell’occasione, grazie ad Alessandro Bocci (membro degli Starfuckers e degli M16), venimmo in contatto con Fabrizio Usberti / DJ Kalapodis e con la sua Sinapsi Distribution. Grazie a questo personaggio geniale e istrionico, mio concittadino genovese, si creò uno snodo verso l’Europa del nord dove comprava e vendeva rarissimi dischi da mitologiche distribuzioni straniere, prima fra tutte la Planet Corp Production (PCP) di Francoforte. Attraverso questi scambi di techno-hardcore ad alta qualità si iniziarono a chiamare i primi dj e live act, veri e propri lasciapassare dei grandi techno club italiani dove si suonavano i dischi di: PCP, Industrial Strengh, Rotterdam Records e altri. Missili terra aria lanciati verso i locali di quell’epoca: l’Asylum di Jesolo, il Cocoricò di Riccione, il Matis di Bologna, il Teatriz di Lugo e pochi altri, locali che dopo un po' però ci misero su una scialuppa e ci rigettarono a mare. Quel circuito apparentemente tanto aperto nei costumi si rivelò molto chiuso nelle proposte musicali e nella volontà di collaborare con forze esterne, costringendoci a rifugiarci (senza rimpianti, sia chiaro) nella nostra sede in via Fioravanti dove organizzammo “resistenza” e contrattacco.

Quel circuito apparentemente tanto aperto nei costumi si rivelò molto chiuso nelle proposte musicali e nella volontà di collaborare con forze esterne, costringendoci a rifugiarci (senza rimpianti, sia chiaro) nella nostra sede in via Fioravanti dove organizzammo “resistenza” e contrattacco.

La decisione definitiva avvenne dopo l’infausta data della Rephlex Records al Cocoricò durante una festa del SILB, manifestazione fieristica nata per operatori tecnici nel settore audio-light, diventata negli anni un incontrollato baraccone prequel delle distruttive Federica Baby Doll o Nacha DJ. In quella corte dei miracoli un timido Saccoman bloccò la selezione musicale di Grant Wilson Claridge, equalizzata a quattro mani da sua maestà Richard D. James aka Aphex Twin (allora ventenne), per le lamentele di un pubblico a cui Cylob (sempre della Rephlex) aveva già tagliato le gambe con un live appositamente edulcorato, ma non abbastanza.

Oltre a questo dramma che la scena italiana si porterà dietro nella storia, ricordo anche un aneddoto più divertente, ovvero che a un certo punto non trovavamo più Aphex che poi scoprimmo essersi nascosto sotto i cuscinoni del Morphine, dove era rimasto finché una coppia non gli si era seduta sopra facendolo sobbalzare.

A fine serata però tutti i guest rephlexiani invitati erano molto arrabbiati e promisero di non tornare più in Italia. Penso che a Richard non sia mai più capitato nella sua carriera di venire bloccato durante un set; quando lo rincontrai a Londra la prima cosa che mi chiese fu se il Cocoricò era ancora aperto.

Quello di AFX cacciato dalla console del Cocoricò fu il punto di non ritorno, nonché l'acquisizione di piena e tardiva consapevolezza che tra le due scene c’era (e forse c’è ancora) una differenza incolmabile.

Vendetta, tremenda vendetta: in via Fioravanti 14 potemmo finalmente dare spazio senza vocalist, nani e ballerine ai nostri sound, a chi li proponeva e specialmente a chi li importava e distribuiva in Italia. Sempre grazie a Fabrizio Usberti venimmo in contatto con la Disturbance / Minus Habens di Ivan Iusco e con la romana Final Frontier di Andrea Bendetti, Marco Passarani, Lory D e Leo Annibaldi dj e producer fondatori di vari progetti discografici quali Nature, Plasmek, XForces e di quello che veniva definito il Sound of Rome assolutamente all’avanguardia rispetto a tutto il resto della scena nazionale. Con loro stringemmo un patto di ferro e vinile consolidando oltre che un rapporto professionale anche una lunga relazione amichevole, tutt’oggi in atto. Marco e Andrea per gli anni a venire ci fecero da “buoni consiglieri” musicali, passandoci le uscite discografiche delle etichette da cui noi estrapolavamo dj e live act, dischi e live che cercavano di rivendere (con molta difficoltà) in un periodo pre-internet, che oggi sembra impossibile sia esistito. Grazie a loro scoprimmo anno dopo anno etichette Oltreoceano come la UR-Underground Resistance, Metroplex, Transmat, KMS, Plus 8, Planet E, 430 West, Direct Beat, Interdimensional Transmissions e Dataphysix, poi Schematic e Chocolate Industries. Dall’Europa ci introdussero prima alle anglofone Warp, Clear, Planet Mu, Skam, SCSI e sempre attratti dalla Rephlex rec. del sig. AFX ospitammo un paio di All Stars Night (rimaste nella storia al pari del concerto dei Clash in piazza Maggiore) e per un’intera stagione la serata di residenza mensile Rephresh. Arrivarono la finlandese Sähkö Recordings, gli olandesi della Bunker, Viewlexx e sopratutto Clone, la Pharma e tutto il giro post Air Liquid di Walker, Khan ed etichette come la Force Inc, la Mille Plateaux fino all’austriaca Mego e Ninebarecords di Cujo, che poi divenne l’Amon Tobin che tutti conosco.

 

 

Etichette apparentemente diverse tra loro che avevano tutte lo stesso denominatore comune: la continua e repentina ricerca di linguaggi ritmici innovativi. Non si riusciva ad abituarsi a uno slang che già ne arrivava un altro.

 

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Rivista Link Project 1996, marzo-aprile

Oltre a queste ospitate ogni anno, ad aprile, dal 1996 al 2004, con Andrea e Marco cercavamo di radunare al Link label e artisti italiani in un momento di incontro che chiamammo Distorsonie, parafrasando la cassa storta e i suoni distorti che ci piacevano tanto. Fu, casualmente, il primo festival del genere “musica dance elettronica” in Italia, dedicato, nelle prime edizioni, alle sole etichette e produzioni italiane, per allargarsi in seguito a quelle straniere, fino a raggiungere un’economia di scala purtroppo autodistruttiva nel concept e anche nella sostenibilità economica. Questo a causa sia della poca attenzione istituzionale, orientata su altri contenuti apparentemente meno compromessi con il mainframe culturale, che della nostra incapacità di attirare sponsor e supporter (Red Bull e TDK a parte).

Oltre ai collaboratori esterni un'altra fonte principale di ispirazione per la composizione del programma furono i nostri mille dj, primi tra tutti Ilo e Peak Nick. Ilo è stato citato anche su un lp di Mike Paradinas e insieme con Nicola aka Peack Nick formava il progetto Beat Actione, in cui i due miscelavano - 5 anni prima dei 2 Many Djs - il meglio dell’elettronica non convenzionale. Un potpourri di cui ricordo, anche grazie a Nicola, la Stalplaat, Max Ernst, Hothair, Kompakt. Peak Nick era anche il dj che ha affiancato artisti come Thomas Brinkmann, Akufen, Atom Heart e David Chazam. I due funamboli del mixer strinsero una lunga collaborazione con Notte Vidal, serata che fece le fortune del giovedì exotic lounge del Link, ma purtroppo non le loro.

Altro connettore d’eccellenza fu Riccardo Balli, studente stravagante nonché frequentatore dell’infoshop del Link diventato prima "Astronauta Autonomo" (il suo libro per Castelvecchi), poi terrorista sonoro del progetto DDR (Distorted Dark Room). In Erasmus a Londra, Dj Balli entrò in stretto contatto e iniziò una collaborazione con la Praxis Rec. di Christoph Fringeli e con l’ideologo Stewart Home (di Datacide). Da allora seguì una florida attività discografica e performativa come Sonic Belligeranza.
Basilari furono i festival europei; primo fra tutti e forse allora l’unico fu il Sonar di Barcellona, dove scoprimmo fenomeni come Dj Spooky e tanti altri poi nostri gloriosi ospiti.

 

Basilari furono i festival europei; primo fra tutti e forse allora l’unico fu il Sonar di Barcellona, dove scoprimmo fenomeni come Dj Spooky e tanti altri poi nostri gloriosi ospiti.

Del primo Sonar ricordo l’inaspettata focaccia genovese di un mio grande amico, che l'aveva importata aprendo un posto vicino al Macba; ma ricordo soprattutto l’acido vendutomi da una punk catalana grazie o per colpa della quale, quando arrivò la mattina sulla pista degli autoscontri dove cercavo di andare addosso a Mills e Hawtin, non riuscii più a distinguere i beat delle casse da quelli dei generatori elettrici di quella festa elettro-mediterranea qual era il Sonar di quei tempi. Importanti si rivelarono anche i viaggi di pellegrinaggio a San Francisco, New York, Islington, Hackney Central, Londra da cui tornai con novità come l’Asphodel Records, la Caipirinha Records, le amicizie personali con Dj Olive ed i Brooklyn Beats dell’amico esule Gil Arno, la Silverfish, il 93 Feet East, il Cargo, il Plastic People e altri che non ci sono più.

L’ispirazione arrivava anche grazie alla collaborazione con locali “concorrenti", pochi visti i generi trattati. Primo fra tutti il mitico Clan Destino di Faenza e il Morphine, spazio sperimentale all’interno del Cocoricò di Davide Love Calò e NicoNote. E in seguito anche le organizzazioni nomadi come il Liquid di Firenze di Liam J. Nabb e Louise Oldfield con cui portammo per primi in Italia Matthew Herbert, o la Feel Good Production, che ci fece scoprire il bhangra sound indiano di Anokha/Talvin Singh e gli amici (corregionali) della Betulla Rec, sempre presenti nei grandi momenti del Link.

Come dimenticare i tentativi di rave goani con Dj Piero e adepti, o le catastrofiche ospitate di quei mefistofelici Spiral Tribe? Stili e tribes poi abbandonati per ragioni sia musicali che spazio temporali: non si poteva stare svegli due o tre giorni da lucidi a sentire ore e ore di bassline monoritmici o interminabili litanie trance.

Il Link ebbe anche una parentesi autarchica quando, grazie ad alcuni collaboratori partenopei come Ciro Coppola e Salvatore Napolitano, si iniziò a contattare artisti della scena techno napoletana, allora ai loro esordi, come Marco Carola, Gaetano Parisio, Davide Squillace e Cerrone, poi affermatisi a livello mondiale. Di quel dream team ricordo l’esibizione di Marco Carola nel 2002, un rito etnico elettronico che per un pelo non venne annullato da una vomitata di una sua groupie sugli amplificatori dell'impianto. Nonostante l'inconveniente il suo set fu molto coinvolgente e, appunto, tribale, non nel genere ma nella liturgia della performance ai giradischi. Mi ricordo che venne a sentirlo Paolo Chighine (ai più noto come Paolo Kighine, ma per me senza K) mio caro amico e dj mentore della mia adolescenza genovese. Fui molto orgoglioso di mostrargli cosa ero stato capace di co-costruire, non da solo, dopo aver lasciato il capoluogo ligure, città nella quale un posto come il Link rimane e rimarrà per sempre un sogno. Paolo era venuto al Link perché Carola avrebbe suonato qualche settimana dopo all'Insomnia di Ponsacco, dove all'epoca Paolo era dj resident e music supervisor.

Paolo era venuto al Link perché Carola avrebbe suonato qualche settimana dopo all'Insomnia di Ponsacco, dove all'epoca Paolo era dj resident e music supervisor.

 

Rivista Link Project 2000, gennaio-febbraio, Orbeat Night
Rivista Link Project 2000, gennaio-febbraio, Orbeat Night

 

A proposito di organizzazioni extra Link, nell’ultima fase in via Fioravanti, fra il 2001 e il 2004, ci imbattemmo in Armando, organizzatore e bravissimo chef de rang da poco trasferitosi da Londra a Bologna con la sua Zen Essential. Con lui anche grazie a un'altra coppia di genovesi, i Tutto Matto di Juri & Paolo e la Tummy Touch portarono una ventata di novità: ci convinsero ad aprire le porte alla combattutissima house (anche se poi quello che si suonava erano break beat post-funkettoni) mal digerita dal nostro pubblico storico. Fu l’inizio della fine di una specificità. Quella che pensavamo essere una strategia di avvicinamento reciproco a un nuovo pubblico e una nuova scena per noi si rivelò da un certo punto di vista letale, ma a ragion veduta anche salvifica.

Fu l’inizio della fine di una specificità. Quella che pensavamo essere una strategia di avvicinamento reciproco a un nuovo pubblico e una nuova scena per noi si rivelò da un certo punto di vista letale, ma a ragion veduta anche salvifica.

Fummo infatti fagocitati e digeriti da un ambito che fino ad allora ci era stato diffidente quando non ostile, annullando così la differenza percepita tra locali mainstream e luoghi alternativi, come potevano essere il Link e molti altri centri indipendenti che negli anni seguirono il nostro esempio, vedi i disobbedienti del Marghera / Altavoz di Mestre.

Questa invasione, aliena per il Link e all’inizio molto criticata, fu invece motivo di salvezza quando il centro venne trasferito fuori città, in un luogo nel quale il primo pubblico di studenti, appiedato, non poteva arrivare agevolmente.

 

Insomma, le fonti a cui ci abbeveravamo erano molte e all’inizio eravamo noi stessi dei bravi rabdomanti, anche perché all’interno del Link avevamo creato un agenzia di distribuzione artistica, la "Link Propop", che aveva l'obbiettivo di distribuire in giro per l’Italia quello che si proponeva a Bologna. Vi era l’illusione di creare un network di scambio che per un periodo funzionò anche con altri simil pionieri come La Pergola e il Tunnel di Milano, l’Interzona di Verona, il Circolo degli Artisti di Roma, dopo con Brancaleone e DNA, Orbeat di Napoli, i Mercati Generali di Catania e pochi altri. Loro, da networker, si trasformarono pian piano in altre booking agency, passando da collaboratori a venditori, alle volte anche senza scrupoli (poche per fortuna).

 

Locandina Distorsoni 2003 Link  © Fabio Aloisi
Locandina Distorsonie 2003 Link © Fabio Aloisi

Di questa infiltrazione dei mercanti nel tempio, senza erigermi a ruolo di redentore, mi devo dare molte colpe; la principale è aver abbandonato il progetto dell’agenzia per dedicarmi a quella degli eventi multidisciplinari. Mi staccai dalla Propop e aprì la H-uge. Quell’Ufficio Grandi Eventi con cui produssi varie operazioni esterne al Link tra cui la curatela del Padiglione FuturMusic all’interno della Fiera di Bologna, il progetto W-dj per Telecom Italia, un capodanno Cirque Musical con la famiglia Togni, le prime due edizioni della TDK Dance Marathon di Milano. Tutti bei colpi che nelle ultime quattro edizioni mi portarono ad alzare sempre di più il tiro del prima citato Distorsonie Festival, dal 2000 al 2004, durante le quali mi scappò una raffica di pallottole (da svariati migliaia di Euro) dritta nella testa.

Di questo quasi festicidio (festival + suicidio) devo condividere la colpa con Richard D. James, quell’AFX che suonò la prima volta al Link nel 1995 nella sala nera davanti a 200/300 persone e ricevette un compenso di 2 milioni e mezzo di lire divisi con tutti i Rephlex presenti. Mentre la seconda volta nel 2002 suonò nell'hangar dietro il Link, un attiguo magazzino del mercato ortofrutticolo affittato appositamente, davanti a 5000 persone, per un compenso di 38-40 mila euro. Cifra ben assorbita dal record di incassi del Link di oltre 100.000 euro (tutt'ora imbattuto), che dopo 4 mesi reinvestimmo completamente in un Distorsonie che oltre ai conti correnti mi ripulì, e mi tiene pulita la coscienza, per non aver mai utilizzato quella struttura per finalità economico-imprenditoriali personali.

Un colpo che mi fece risvegliare da un sogno durato oltre dieci anni, ridimensionandomi al punto che, passato illeso una successiva e ultima edizione di Distorsonie del 2004, decisi dal 2005 di farmi ospitare da altri festival con una formula ridotta di PDF (Post DF). Acronimo che aveva il senso di post, ovvero piccolo promemoria di quello era stato un dignitoso tentativo di rassegna annuale di musica elettronica italiana (e straniera), che poi lasciò spazio ad altri ottimi sequel quali: Dissonanze, Club to Club, Elita, Netmage, RoBot, Dancity ed ora il giovane Pulse di LED.

 

 

Quel Link Electronic Department da me formato come lascito a tutti quei collaboratori che mi avevano supportato e sopportato per anni, e che ancora oggi proseguono in maniera altalenante le attività elettronico-danzerecce del Link, dove l’11 aprile 2014 è stato festeggiato il Ventennale dalla sua prima apertura con una prima serata a cui farà seguito una serie di eventi etichettati XXLink. XX rappresenta il numero romano nonché la taglia extralarge dell’iniziativa, che proseguirà, appunto alla grande, fino alla notte del 31/12/2014, e per tanti altri anni a venire di Link Muzik con la L e la M maiuscole!

Per gli interessati sul to be continued di questa storiella consiglio il sito del Link dove si pubblicheranno i materiali che stiamo faticosamente raccogliendo per coprire il buco (analogico) che c’è in rete, o nel mio personal blog dove proseguirò a coprire i miei di buchi mnemonici.

Sabato 30 agosto Daniele Gasparinetti sarà alle Corderie dell'Arsenale per parlare del Link Project. Con lui saranno presenti i fondatori e i curatori delle diverse discipline:
- Daniele Gasparinetti, fondatore del Link
- Luca Vitone, curatore di Incursioni: festival di arte performativa e visiva
- Silvia Fanti, fondatrice del Link e curatrice della programmazione teatrale