LUCA VITONE wears LOUIS VITONE for ™®√€. photo by Floriana Giacinti

LUCA VITONE wears LOUIS VITONE for ™®√€. photo by Floriana Giacinti

Luca Vitone

Incursioni artistiche (e non solo) al Link Project. Intervista a Luca Vitone

a cura di Emanuele Zagor Treppiedi

LE ISTITUZIONI, GLI ALTRI CENTRI SOCIALI E BOLOGNA COME VI VEDEVANO?
L.V.: Putroppo le istituzioni non hanno guardato molto al Link se non per l’interesse del loro bacino elettorale. Per cui il Link continuava a rimanere aperto perché era davvero molto frequentato. Poi era usato anche come una forma di controllo sociale per cui tutti gli sbagascioni notturni che ad un certo punto finivano al Link, si potevano controllare e recintare. Biecamente anche il mercato del fumo sapevi dov’era, sapevi anche che era regolamentato e che non c’era spaccio di droghe pesanti. Erano delle caratteristiche di questi luoghi. Capitavano, ma come succedono ovunque, furti e persone che perdevano borse o portafogli, ma in 6 anni di attività forsennata e disparata non è successo mai niente di grave e di persone ne passavano a migliaia dell’ubriacone, all’intellettuale a chi si piazzava al Link per dormire.

Comunque tolta la caratteristica di controllo sociale non c’era un vero interesse, per cui nessuna istituzione ha mai detto “wow che programmazione interessante” e ci ha dato una mano, niente, neanche cercando di portarselo a casa, di farlo proprio, di colonizzarlo. Niente.

Neanche collaborando con Arte Firea, si è mosso nulla, volevano solo i biglietti in omaggio. Saggi detentori del potere che ti fanno un favore che poi però vogliono tutto gratis senza capire il modo con cui noi facevamo le cose. Loro affittavano a X mila lire gli stand però volevano da noi grosse quantità di biglietti gratis e non volevano neanche pagarli a un prezzo ridotto.

Comunque tolta la caratteristica di controllo sociale non c’era un vero interesse, per cui nessuna istituzione ha mai detto “wow che programmazione interessante”

Dalla parte degli altri centri sociali, considera sempre che il Link non era un centro sociale come gli altri, c’erano degli atteggiamenti molto dogmatici per cui, chi era più ortodosso dal punto di vista politico ci vedeva con sufficienza mentre gli altri cercavano di imitarci.

Ad esempio anche il Leoncavallo provava a fare cose interessanti ma con nomi già affermati andavano a cercare Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari, Giovanni Anselmo nomi che intanto non c’entravano niente con quell’ambiente e manco con la ricerca degli ultimi dieci anni. Un po’ come quando facevano il teatro e invitavano gente come Paolo Rossi e Dario Fo. Ok i compagni, però come programmazione il Leo non riusciva mai a fare un passo un po’ più oltre. All’epoca bisognava guardare a cose come il Teatrino Clandestino, i Motus o chi faceva una ricerca vera. Anche quando facevano le musiche, non so se uno come Arto Linsday, che era un po’ quello più conosciuto, abbia mai suonato al Leo, mentre invece al Link queste cose qua succedevano.
Anche nel classico centro sociale c’era un mainstream, che alla fine verteva su una politica pop. Non c’era musica di ricerca o se c’era era l’hip hop dei compagni ma era la cosa più “commerciale” che ci fosse sul mercato… Frankie Hi nrg ma non Mika Vainio o Scanner…

Alla fine a livello culturale, secondo me, ma poi magari sono uno snob, la programmazione degli altri centri sociali era un po’ bassa, mentre al Link questa cosa qua non c’era, si faceva di tutto, magari sempre grazie a delle amicizie, però era sempre tutto fondato su una certa ricerca. Da noi c’erano Panasonic o i Massive Attack che nella grande risonanza del loro nome cercavano comunque di fare produrre una musica diversa.

Per cui il centro sociale classico, tolto il peso politico e locale di stampo un po’ ortodosso, nell’ambito culturale era un po’ basso.
Anche il Conchetta, che era il posto che a Milano ho frequentato un po’ di più, non aveva quell’immaginario folle e di rischio che avevamo al Link.
Russ Meyer, Mario e Lamberto Bava erano tutte cose che noi facevamo ma altri centri sociali no, erano tutte cose che beccavi da noi o su Raitre di notte con Enrico Ghezzi, che tra l’altro veniva al Link e Nanni Balestrini che da noi ha girato anche un programma di poesia nel 97 chiamato “L’ombelico del mondo” dove il Link diventava uno studio televisivo.

Anche quelli di “Un posto al sole” hanno girato al link alcune puntate.
Per quello ribadisco della miopia dell’istituzioni, perché loro avevano una cosa che a costo zero potevano rivendersi come la grande avanguardia e, se gli avessero dato l’opportunità di avere dei servizi fatti bene, potevano rivendersela come qualcosa di assolutamente speciale.

Dal punto di vista artistico poi non c’era nulla di simile. Tant’è che verso il finire della metà degli anni 90 anche gli altri spazi dell’arte hanno iniziato a mettere il dj set all’inaugurazione del museo, della mostra, cose che noi già avevamo, però noi avevamo i dj migliori d’Europa insieme agli artisti delle altre sale e insieme al teatro delle ultime generazioni come Jérôme Bel

Cercavamo di capire quali erano le nuove estetiche che producevano qualcosa e non c’era un altro luogo simile in Italia. La cosa peculiare del Link è che avevi musica, letteratura, teatro, cinema in un palinsesto che si incastrava l’uno dell’altro. 

verso il finire della metà degli anni 90 anche gli altri spazi dell’arte hanno iniziato a mettere il dj set all’inaugurazione del museo, della mostra, cose che noi già avevamo, però noi avevamo i dj migliori d’Europa

Venendo a Bologna: la città rispondeva bene, ma se fosse stata veramente entusiasta non avrebbe permesso che chiudesse… Io non vorrei dire stupidaggini però finanziamenti pubblici il Link non ne ha mai avuti se non qualcosa dalla Regione per il teatro (quindi la capacità di Silvia era molto importante in questo caso) altrimenti l’unico finanziamento è stato quello dedicato alla rampa ai disabili, ed erano arrivati circa 7 milioni (di lire – n.d.r.), con cui oltre alla rampa non è che si potesse fare molto altro.

Poi come tante cose, quando non ci sono i soldi necessari non si riesce a portare avanti tutto. C’erano certe redazioni, che rappresentavano le varie aree in cui era suddivisa la programmazione del Link, che lavoravano e che riuscivano di più altre, quindi ovviamente e umanamente dopo un po’, come ti dicevo prima, ci si sfalda. Il grosso problema italiano è il solito: ovvero che non essendoci dei finanziamenti pubblici seri, fatti bene, non si riesce più a far vivere uno spazio. Perché con uno spazio così in qualsiasi altro paese, diciamo occidentale, ricco e avveduto, si trova il sistema per tirare su dei soldi pubblici per farlo funzionare e per dare una sicurezza almeno.

IL LAVORO DI QUESTE REDAZIONI CONFLUIVA, OLTRE CHE NEGLI EVENTI ANCHE NEL LAVORO CHE POI VENIVA PUBBLICATO SULLA RIVISTA, CI PARLI DELLA RIVISTA?
L.V.: Anche la grafica è stato un momento importante perché Daniele, oltre a tutto il resto, è anche un bravo grafico e aveva pensato un po’ alla grafica del Link. Daniele ha inventato la grafica del Link, con Graziano Loew Associati ha fatto in modo che tutto partisse e poi ha lasciato che tutto funzionasse. Anche l’immagine del Link era diversa: era di ricerca, le grafiche delle riviste erano sempre diverse, c’era sempre la voglia di sperimentare, di cambiare. Nessun museo poteva permetterselo perché dovevano essere riconoscibili e nessun altro centro sociale aveva dato l’importanza alla grafica come l’avevamo fatto noi.

 
 
In tutto da Incursioni, alla grafica della rivista, passando per il rapporto con le istituzioni c’era la capacità antiautoritaria (ma comunque da capo) di Daniele che è riuscito a convogliare le energie di diverse persone per creare questo luogo.

Nell’articolo che io ho scritto per Rolling Stone, alla fine io ho citato tutti, anche Daniele, ma mi dissero che non erano persone importanti e che non le conosceva nessuno, quindi mi tagliarono il finale.
Praticamente l’immagine che mi ricordavo e che io volevo evocare era quella del vecchio ufficio del Link (prima di quella degli ultimi, quando anni iniziarono a lavorarci circa 80 persone). Una stanzetta affollatissima di gente, carte, c’era la cassa ed era tutta disegnata da graffiti inutili e idioti e sulla porta qualcuno aveva scritto, non so chi, “Daniele è Dio” , lui l’ha sempre tenuta nascosta questa cosa. E io l’avevo scritto nell’articolo:

“C’era chi curava gli eventi musicali come Renato che si muoveva con alterigia, tra le stanze con al sua inseparabile cintura, con fibbia gigantesca “DJR” , che firmava il suo status di vecchio, del Link… Belin, irascibile, generoso, vulcanico. Enrico che sotto il sorriso sornione calzava scarpe oversize e deambulava molleggiato tra una consolle e l’altra; chi pensava a risolvere i problemi tecnici come Paolo che con occhio luminoso risolveva ogni luce; o Davide a cui era sottoposta ogni messa in scena; chi lanciava omelie dal palco come il Reverendo Alan o chi come Dr. Spach prevedeva ascese e discese dei titoli in borsa. E c’era Silvia che con la sua determinazione amorevolmente odiosa imponeva i tempi utili all’ufficio stampa e c’era Lissao dalla timidezza arguta che dalla sua alta conoscenza dello scibile proponeva nomi come collaboratore esterno e c’erano Lino, Dante, Nino, Agapito, Nelsy e tanti altri che qui non riesco a ricordare. Ma sopra tutti c’era Daniele, di cui non vorrei dire nulla ma solo ricordare che nel vecchio ufficio, il primo, quello all’entrata di fronte al bar, c’era un muro pieno di scritte: firme, messaggi d’amore, stronzate, cattiverie, numeri telefonici. Era la parete della porta d’entrata e sullo stipite qualcuno aveva scritto “Daniele è Dio”. Nel ’99 ho fatto un lavoro con questi 143 nomi, segnalando per ognuno il tempo della propria vita dedicata al Link. Il suo titolo “143 (I love you) Link”. E questo è tutto.”

Luca Vitone disegno 123 Link
Luca Vitone disegno 123 Link

 
 


Luca Vitone
La pratica artistica di Luca Vitone (Genova, 1964), iniziata nella seconda metà degli anni 80, si concentra sull’idea di luogo e ci invita a ri-conoscere qualcosa che già conosciamo, sfidando le convenzioni della memoria labile e sbiadita, che caratterizza il tempo presente. Il suo lavoro esplora il modo in cui i luoghi si identificano attraverso la produzione culturale: l’arte, la cartografia, la musica, il cibo, l’architettura, le associazioni politiche e le minoranze etniche. Vitone risolve lo scarto tra il senso di perdita di luogo che accompagna il postmoderno e i modi in cui il sentimento di appartenenza nasce dall’intersezione di memoria personale e collettiva, e ricostruisce e inventa percorsi dimenticati che si ricompongono in una sua personale geografia.

Dal 1996 al 1999 quando la sua attività artistica era già avviata, collabora con il Link Project di via Fioravanti 14 fondato dall’amico Daniele Gasparinetti curando il festival Incursioni.
In quegli anni inizia anche a collaborare con realtà estere: nel 1993 partecipa alla mostra “On taking a normal situation and retranslating in into overlapping and multiple readings of conditions past and present” al MuHKa di Anversa. Dal 1994 lavora con la Galleria Christian Nagel, dapprima a Colonia, dove presenta “Der unbestimmte Ort” e nel 1998 “Intimate Itineraries”. Nel 1996, in occasione dello Special project for Liste, porta a Basilea “Liberi tutti!” e ambienta nel castello di Wiepersdorf l’installazione “Ein Sonntag in Wiepersdorf … ich möchte nichts machen, nur hören”, opera realizzata grazie a una borsa di studio della regione del Brandeburgo. Nel 2000 espone “Hole” al P.S.1 di New York. Nel 2003 Vitone partecipa a “Stazione Utopia”, una delle mostre della 50. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia curata da Molly Nesbit, Hans Ulrich Obrist e Rirkrit Tiravanija. In quest’occasione espone “Eppur si muove”, opera che coniuga i simboli del nomadismo rom e dell’anarchia presentando una bandiera con ruota rossa in campo nero.