Due ore e mezza di chiacchierata telefonica non bastano per un’intervista completa con Claudio Coccoluto. Saranno la passione per la musica e per la notte o gli innumerevoli aneddoti che 30 anni di carriera gli riaffiorano di volta in volta per la mente, ma avremmo rischiato di non chiudere mai questa intervista con uno dei più importanti dj house italiani.
Claudio Coccoluto all’inizio quasi schifava tutto quello che era ballabile e che non derivasse dal rock, poi si è trovato in mezzo alla rivoluzione sonora fatta di macchine elettroniche, contaminazioni e il proprietario della radio per cui lavorava che lo “precetta” a fare il dj nel suo locale.
Affascinato dai suoni di una cassettina capisce che mixare e far ballare è la cosa più bella del mondo e la rivoluzione house lo coinvolge più del rock.
In questa lunga intervista ci racconta del suo primo locale a Sperlonga, di come nascono gli Angels Of Love, dellla Roma funk e della Napoli techno, di Ibiza, dell’Italia che balla house e del capodanno 1997/98 in cui dal 31 dicembre al 2 gennaio riesce a suonare in 13 locali diversi.
Per il nuovo appuntamento di Notte Italiana al Magnolia abbiamo coinvolto un altro sei simboli dell’house nostrana: benvenuti e buonasera questa sera in consolle per voi Mr. Claudio Coccoluto!
Inizio con una domanda un po’ insolita, e forse un po’ criptica, ma inerente alla panoramica che questo sito offre sulla storia del clubbing italiano: che rapporto hai col tuo passato? Ti va di elencarci tre momenti simbolici della tua carriera?
Sono una persona che ha un rapporto molto distaccato con il passato. Nel mio modo di vivere e di essere, nella mia testa, il passato occupa un peso specifico molto relativo. Sono più interessato a fare cose proiettate in avanti. Raramente mi fermo a pensare al passato e me ne accorgo quando per esempio si tratta di inviare piccole biografie a qualcuno per motivi professionali; ne ho una che forse è sempre la stessa da 15 anni e fa il giro per mondo e non oso ritoccare. Faccio sempre un po’ di fatica a ricordare le cose fatte, anche quelle più clamorose. Mentalmente sono solo alcuni punti intermedi di un percorso che io provo a proiettare nel futuro. Certo è anche giusto guardare le pagine del proprio diario, ma non mi danno energia, non sono consolatorie e credo che inneschino solo quell’effetto nostalgia che per altro odio negli altri. Poi ovvio a volte ci casco anche io, ma è solo legato al fatto che paragonando la situazione attuale che oggi è molto esaltata dai social e facendo la tara ai ricordi e all’emotività forse alcune cose erano più interessanti proprio perché avevano un’energia nascente. Oggi siamo un po’ più viziati dal marketing e meno spontanei.
Certo è anche giusto guardare le pagine del proprio diario, ma non mi danno energia, non sono consolatorie e credo che inneschino solo quell’effetto nostalgia che per altro odio negli altri. Poi ovvio a volte ci casco anche io…
Oggi c’è una plasmazione dei fenomeni che prima non avveniva perché prima non poteva succedere in quanto non c’erano proprio i mezzi. Le cose venivano fatte spontaneamente senza un secondo fine di visibilità. Stare lì a rivendicare quale peso e quale ruolo uno ha avuto mi sembra un’opera inutile nel momento in cui il gap generazionale è diventato talmente grosso che bisogna solo pensare a ricominciare da zero. Tutto quello che hai fatto a un ragazzo di 20 anni sono sicuro frega poco, proprio perché sono cose che non ha vissuto e di cui non ha nessuna percezione. Quindi è molto più importante farsi conoscere adesso, quasi come se fosse un nuovo inizio. E di questa cosa io sono molto molto contento ed energizzato, mi piace rimettere tutto in discussione e ricominciare da capo. Perché fondamentalmente ho talmente tanta passione per quello che faccio che ricominciare tutto da zero non mi spaventa, anzi mi da la certezza che questo gioco andrà avanti ancora per molto tempo. Questa è una spiegazione di come vedo io il passato, poi se ti devo dire quali sono le fasi topiche della mia vita professionale questo è un altro discorso.
Tutto è successo quando ascoltai una cassettina della Baia degli Angeli che ha cambiato la mia vita. Io bazzicavo la musica e le radio più pirata che c’erano, avevo un mood molto improntato al rock e avevo davvero schifo di tutto quello che riguardava la discomusic, per me ballabile erano i Police. Quindi tutto questo black sound legato alla disco io lo catalogavo come sotto prodotto, roba per ballare che non aveva nessun appeal artistico. Finché non arriva questa cassetta, che capita contestualmente in un momento in cui il proprietario della radio in cui lavoravo aveva aperto una discoteca e voleva che io facessi il dj, ma io non ne volevo avere nulla a che fare. Essendo però quasi precettato a fare questa cosa mi documentai e grazie a un amico iniziai ad ascoltare questa e altre cassette. Così come un bambino che apre un libro di trigonometria, dalla repulsione totale inizia invece a scoprire un mondo di suoni e di incastri sonori che neanche potevo immaginare, proprio perché la cosa che mi ha sempre affascinato di Moz-art e Baldelli e Tosi Brandi e l’Ebreo e tutti loro, era la capacità di contaminare in questo flusso sonoro con mille cose differenti tra loro. C’era il funk, c’era l’elettronica, c’era l’afro, c’era di tutto e questa cosa mi ha subito intrigato e affascinato, come mi ha subito intrigato la possibilità di mixare, che era una cosa che io facevo quasi in maniera istintiva senza avere cognizione che fosse una vera e propria disciplina. Io quindi prendo il virus del dj non ci capisco più in cazzo e ora ci ritroviamo io e te a raccontare questa storia. Scherzi a parte: quella è stata la scintilla che ha fatto partire il tutto e il resto sono state tappe del viaggio.
Altra tappa importante è quella legata al periodo in cui inizio a giocare con l’elettronica e mi compro i miei strumentini. In tutta la parte new wave degli anni 80 aveva un ruolo fondamentale lo scarto tecnologico: i primi synth, le prime tastiere digitali, le prime batterie elettroniche… quindi innamorato di quel mondo musicale, e ti parlo di Heaven 17, Propaganda e altri, avevo acquistato delle macchine musicali che poi sono diventate fondamentali per tutto il suono venuto dopo. Mi sono così ritrovato in prima linea a usare i campionatori e le drum machine e quando è arrivata l’house in maniera definitiva era un suono che già conoscevo, perché lo frequentavo inconsciamente sui miei strumentini.
L’house è stata praticamente la sintesi per chi come me veniva da un mondo “new wave” con le applicazioni dell’elettronica dell’epoca: il rock rivoluzionato, il rock 2.0 se vogliamo chiamarlo così. Poi la fusione del ballo e la rivoluzione dell’house, che riportava tutti i parametri della ballabilità a zero, quindi al solo fatto che ci fosse una cassa in 4/4 e un charleston in levare su cui poi costruire il mood e ballare. Tutto questo trascorso fatto di radio, cassette, strumenti, è diventato una sorta di bagaglio che mi ha reso pronto al djing e all’house in maniera immediata.
Mi butto così nell’house mani e piedi quindi e siamo praticamente a fine anni 80 e la tappa intermedia nell’85 è stata quella legata a Marco Trani. Lui mi vide in un localino di provincia del basso Lazio, mi prende e mi porta a Roma insieme al mio Emulator 2, il primo campionatore di buon livello sul mercato. Con questo io inizio a farmi conoscere un po’ sulla scena romana. Nel 1985 ho quindi la prima stagione all’Isteria e prendevo uno stipendio come dj.
MI PARLI UN PO’ DELL’HYSTERIA? CHE CLUB ERA?
Allora l’isteria era un locale molto amato dal pubblico romano, che in questa riproduzione di una piazzetta romana con tanto di fontana che si apriva come un palchetto, si trovava particolarmente a proprio agio ballando. La consolle era in un angolo e dominava la pista che aveva un impianto curato da Ennio Baldelli che era la persona che curava tutti i sistemi audio e luci dei locali romani degli anni 80. Non c’erano buttafuori e all’Hysteria siamo stati anche precursori della figura del buttadentro: c’era una persona che decideva se entravi o meno e non lo faceva secondo canoni estetici o di abbigliamento… un po’ come fa oggi il noto Sven del Berghain, solo che noi lo facevamo già nell’85.
All’Hysteria successe anche una cosa di cui io vado molto orgoglioso. Una sera arrivarono i Talk Talk e io con il mio campionatore quella sera confezionai una sorta di remix in chiave house con i campioni dei loro brani. Loro furono molto contenti del lavoro tant’è che mi richiamarono e volevano fare uscire quel remix. Poi però non c’erano le mail e la rapidità di comunicazione di oggi e i tempi commerciali per l’uscita di questa rielaborazione andarono troppo per il lungo e non se ne fece più nulla. Però è una cosa che mi rende molto orgoglioso.
Cosa successe dopo l’Hysteria?
Un’altra tappa importante che ha fatto nascere tutta una serie di altre cose che man mano ti racconterò è stato il momento dello Zen, dalle parti mie tra Gaeta e Sperlonga nella costa Sud laziale. Io avevo bisogno di suonare e il locale me lo sono inventato io. Ovvero nel giardino di un ristorante, con un ingresso separato, grazie a delle persone più matte di me, ho creato da zero questo Zen. Siamo alla fine fine degli anni Ottanta. Io, la figlia dei proprietari e il suo fidanzato dell’epoca creammo questo locale, che ebbe un valore veramente rivoluzionario non solo per me. Fu la prima discoteca in cui io ero il factotum: mi occupavo dalla musica, della grafica, degli allestimenti interni, seguendo il fabbro che costruiva la consolle in ferro e della comunicazione. Mi sono costruito un club perché era l’unica opportunità che avevo di suonare la musica che davvero avevo voglia di suonare: in qualsiasi altro locale mi sarei dovuto piegare alle logiche di mercato del proprietario.
Insomma questo Zen fece le prime due stagioni e creò questo mood di festa e con i nostri piccoli mezzi di comunicazione dell’epoca siamo riusciti ad avere degli scambi molto potenti. Portammo il gruppo di animazione dei Locomia di Ibiza che erano dei ballerini che danzavano con degli enormi ventagli. Loro arrivarono a Sperlonga nella stagione 89/90 ed è successo il delirio. Un anno poi mi inventai il lunedì house, che non esisteva ancora al mondo.
Praticamente avendo le chiavi del locale e, grazie a Dio avendo una proprietà che si fidava ciecamente e che ne ha avuto anche bei frutti economici, abbiamo fatto cose interessanti e sensate: come avere un piccolo ufficio stampa che a quell’epoca era una cosa impensabile. Oppure piccole intuizioni tutte fatte in maniera artigianale, come il fatto che io passavo quasi mezzagiornata quasi tutti i giorni in tipografia a fare dei flyer: si facevano le composizioni a mano che io guidavo passo passo perché dovevano avere quel look preciso che poi andavo a copiare da magazine com I-D o The Face, che erano le mie ispirazioni dal punto di vista grafico.
La cosa fondamentale da sapere è che la scena romana era fondatamente funky: in quel momento Roma era molto legata al sound nero.
Poi si era creato un mix di pubblico romano e napoletano molto interessante perché iniziava a vedersi una sorta di popolo dell’house: si stava formando qualcosa intorno a un genere, non era più un suono di moda ma stava cominciando a diventare un movimento. Tutto questo fare e comunicare ha fatto nascere degli incontri. Così arrivano dei ragazzi da Napoli che mi chiedono “chi fa tutto ciò?” e io rispondo che facevo tutto io e poi alla domanda “cosa fate voi”… e così nascono gli Angels Of Love.
Intanto cosa succedeva a Roma e la radio?
La radio l’ho mollata quando con Marco Trani andammo all’Hysteria di Roma e da lì ho iniziato a bazzicare d’inverno i locali romani. Non sono mai stato, a parte la stagione 84/85 all’Hysteria, resident in un locale. E forse è stata una delle mie scelte più indicate.
Roma in quel momento negli anni 80 c’erano dei locali spettacolari c’era l’Isteria, c’era il Much More dei fratelli Micioni che avevano una consolle che era uno studio di registrazione enorme, con banco regia da 32 canali…. C’erano le Stelle dove c’era Giancarlino che era resident e da lì nasce la nostra grane amicizia. Qui Giancarlino ha iniziato a muovere i primi passi e a formare la sua professionalità.
In questo locale lui ha iniziato a curare tutti gli aspetti che ancora oggi affronta al Goa: dall’impianto, alle scenografie tutte cose che nascevano dal confronto ma anche dallo scontro con i proprietari e i gestori del locale
Poi c’era l’Olimpo dove si faceva un sacco di ricerca, ricordo ad esempio Stefano Di Nicola o Gino Woody Bianchi che suonavano fusion, jazz, cose assurde e musica ricercatissima
C’era l’Easy Going storico gay club dove una giovane Pamela Prati faceva la proto-cubista. Qui la musica era nelle mani di Paul Micioni che poi si è spostato al Much More. L’Easy Going era una discoteca arredata come una sorta di vespasiano, con una pista da ballo-bagno turco, mosaici in puro stile Village People e marinai alle pareti con ciucci in bocca enormi statue a forma di fallo opera dell’architetto trendy Gepy Mariani, e disegni di super machi dell’artista americano Tom of Finland.
Ricordi anche La Luna, un piccolo locale con il dj Marco La Stelle che suonava molta new wave e ricordo che alla consolle era raffigurata una serigrafia di Mick Jagger con le sembianze di un vecchio, che è praticamente come lo vediamo oggi.
Io li frequentavo tutti i locali perché volevo essere parte di questo momento magico, ma ci andavo anche solo per imparare. La mia scuola vera è stata guardare i miei colleghi, quelli che sono poi fortunatamente diventati tutti amici.
La cosa fondamentale da sapere è che la scena romana era fondatamente funky: in quel momento Roma era molto legata al sound nero. Era un periodo dove a Roma difficilmente ascoltavi qualcosa che fosse commerciale come lo intendiamo oggi.
Roma era questo a metà anni 80, e quando arriva l’house e non è ben compresa. Almeno questo a mio giudizio. Io la storicizzo così: il nocciolo duro era la musica nera e il funky, l’house era troppo semplice rispetto a certe vette stilistiche di certi dj romani e probabilmente tornare due passi indietro per alcuni era un problema. Infatti a Roma l’house scoppia un po’ più tardi rispetto ad altri posti d’Italia.
Prima di arrivare alla techno e ai rave romani, torniamo su quella spiaggia di Sperlonga: come nascono gli Angels of Love?
Io incontro questi ragazzi a Sperlonga allo Zen che si chiamano Francesco Furiello e Tina Lepre, che sono i due più importanti della compagine, poi c’era Maurizio Griza (fidanzato di Tina Lepre) e insieme pensammo di portare quest’esperienza dello Zen da Sperlonga a Napoli. Francesco arrivava da Londra e aveva partecipato a tantissimi happening e si portava dietro un’esperienza da cliente, con lui Tina e Maurizio pensammo di fondere le nostre esperienze non in un locale ma in un gruppo itinerante che organizzava eventi in posti diversi tra loro, quindi non con una casa definitiva.
Come mai il nome Angels of Love?
Non sapevamo bene come appellarci… io feci un disco su Maxi Records, che si chiamava così. Il perché si chiamava così non te lo so dire perché io i titoli li metto abbastanza a cazzo e c’era una voce quasi operistica che mi ricordava una cosa angelica quindi: angels of love.
Ma soprattutto c’era tutta l’esperienza inglese di season e summer of love ibizenca, mito dell’isola tra l’altro creato e poi distrutto dagli inglesi. Noi eravamo “sintonizzati” su questa stagione dei party inglesi, tant’é vero che i nostri primi ospiti furono Steve Bicknell, Mr. Monday, Charlie Hall, tutta gente che veniva da un certo ambito che era tra la deep, l’house, la techno tutto molto melodico e quasi balearico, una musica molto positiva e col sorriso. Angel of love andava bene a tutti e così siamo partiti. Era il 1991.
Con la nascita degli AOL ti affacci anche a Napoli cosa c’era in questa città ai tempi?
A Napoli tabula rasa totale, non c’erano tante cose, c’erano i Funk Machine che era un gruppo che organizzava serate e suonava anche, ma era più scenografico con un’attenzione alla musica relativa. Invece gli Angels arrivavano a dirti che l’house music è al centro: ballate e di tutto il resto fregatevene.
Le discoteche dei primi anni 90 a Napoli erano diventate ormai quello che sono tornate ad essere per tanti versi oggi, ovvero luogo dove esibire macchine, orologi, privé ecc… e l’house arriva prepotentemente a contrapporsi a tutto e a tutti. Noi come Angels i primi party li andavamo a fare in tendoni da circo dismessi, in hangar, addirittura in un capannone dove raccoglievano le patate… che poi fu la prima volta di Frankie Knuckles in Italia. Qui era tutto in semilegale/illegale perché anche le istituzioni non sapevano come configurare questi accadimenti. Le cose si iniziarono a complicare sempre per colpa della droga ovviamente. Morì una persona in uno di quelli che noi chiamavamo, in maniera ingenua, rave… successe mi sembra in Toscana verso Barberino nel 1991 e da lì la polizia iniziò ad accorgersi di noi.
In contemporanea agli Angels cosa succedeva a Napoli?
Appena dopo gli inizi degli angels è stata una controscena techno. Che è la vera nascita della techno napoletana e che ha dei protagonisti completamente diversi da quelli che poi si sono affermati. Quelli che sono rimasti coerenti sono stati Danilo Vigorito, Markantonio, Gaetano Parisio…
Diciamo che al contrario del resto dell’Italia questa è una cosa che mi ha sempre incuriosito e te la voglio raccontare: a Napoli l’house era il fenomeno di massa grazie anche al lavoro che avevamo fatto noi degli angels, capillare, di promozione e sì diciamo anche di evangelizzazione. Mentre la techno era la musica d’elite. Altrove era il contrario, nella riviera romagnola c’era un po’ di puzzetta sotto al naso verso i party techno da parte di chi faceva house. C’è sempre stata poi questa diatriba eh…. Però Napoli aveva questa caratteristica e in più c’era la vena underground, perché a Napoli devi fare per forza le cose nell’underground, non c’è possibilità di fare cose che siano overground perché si rovinerebbero subito.
CHE RUOLO AVEVI NEGLI ANGELS? FACEVI SEMPRE IL GRAFICO?
Io ho fatto il grafico per tutto quello per cui suonavo fino al 1999 circa, dopo ho cercato di stare un po’ dietro a tutto quello che riguardava la musica perché quella era la mia passione. Poi ero stracontento quando verso la metà e la fine anni 90 iniziarono a uscire delle valorizzazioni di lavori grafici fatti da me: qualcosa che avevo progettato io fini in qualche piccola mostra o catalogo e questa cosa mi riempì d’orgoglio. Quest’attività mi ha fatto spendere così tanti soldi in Mac per stare al passo con la grafica più che per la musica. In più c’era un ruolo strategico di coordinatore o direttore in cui io mi sono sempre messo in secondo piano perché volevo sempre essere identificato come dj e non come promoter o pr. Senza Tina Lepre, che era la vera manager del gruppo, io non sarei andato da nessuna parte. Francesco Furiello invece era persona con la quale condividevo tutti i discorsi di teoria filosofica musicale e traghettammo questo primo suono che fu, ti ripeto, summer of love e balearico, sull’house americama. Questo perché io cominciavo a sentire che il nuovo stava arrivando da lì.
Così sempre per tentativi e sacrifici, questa storia va di pari passo con la tecnologia: prima grazie i mezzi per far musica e poi grazie quelli per comunicare, stavolta mi comprai un fax, e ti assicuro che all’epoca un fax era una spesa onerossissma. Iniziai così a scrivere alle etichette discografiche per avere dei contatti con Knuckles, Humpries, Morales che ai tempi erano gli eroi dei miei dischi. Cercai di avvicinarmi e fondamentalmente ho avuto anche fortuna perché molti mi hanno risposto, abbiamo imbastito delle relazioni e abbiamo portato questi nomi in Italia.
Ah c’è una cosa che bisogna sapere: in quell’epoca a Napoli i dj italiani, anche se chiamavi i famosi Ralf, Ricky, Flavio, Andrea Gemolotto, non venivano volentieri perché era una piazzaccia. Era un posto dove ti potevano tirare delle sole dove non c’era comunque una scena definita, quindi l’esigenza di cercare un guest straniero era anche dovuta a quest’aspetto. Non avevamo altre scelte. Tutto questo divenne una condizione per darsi da fare e rimboccarsi le mani. Quando abbiamo ricevuto i primi riscontri eravamo felicissimi. Ecco se torno indietro con la memoria quello che mi ricordo è l’entusiasmo che mettevamo in queste cose: appena ci rispondeva qualcuno vagamente legato a uno dei nostri miti andavamo a mangiare, a festeggiare proprio perché c’era un condivisione totale di quel successo.
in quell’epoca a Napoli i dj italiani, anche se chiamavi i famosi Ralf, Ricky, Flavio, Andrea Gemolotto non venivano volentieri a Napoli perché era una piazzaccia.
Poi era tutto molto normale c’era chi prima ti snobbava e che poi ritornava sui suoi passi e anche i cachet non erano stellari erano giusti. Ricordo benissimo la prima volta di Todd Terry in italia a Napoli, ricordo pure che mise il Parmigiano sui calamari fritti, una cosa che mi fece rabbrividire. Facemmo 56 paganti ma l’assegno dovevamo darglielo e lo staccai io, anche se non avevo idea di come avrei fatto a coprirlo, il suo importo era circa 2 milioni e mezzo di lire, che erano tanti ma comparati a oggi sono quattro lire e credo fossimo intorno al 91/92. Il locale era il Vertigo me lo ricorderò per sempre perché fu un bagno di sangue che non finiva più.
A parte questo noi andammo avanti, dritti come treni, perché eravamo forti dell’idea che stavamo agendo bene. Tant’è che per il nostro legame con l’estero crebbe e alle nostre serate veniva gente come Seal, il cantate, quello che ha fato il vocal del pezzo di Adamsky, e ballava da noi il week end per poi fermasi altri due o tre giorni a Napoli. Questo solo per dire che la strada era così coinvolgente che iniziarono a chiamarci anche dall’estero.
E chiamavano me che ero il frontman del gruppo. Ma non era lo scambio come oggi avviene, era più una questione di amicizia vera in cui ognuno era ospite dell’altro appena possibile e si andava così a toccare i mood diversi delle serate: si condivideva, si ascoltavano le tracce, si andava in studio, una sera con Louie Vega e Lil Louis andammo in studio e io conservo ancora una cassettina in cui Lil Louis cantava un motivetto che avremmo dovuto poi trasformare in un riff di un brano. Era la reale condivisione.
CON LA PARENTESI AOL COPRIAMO TUTTA LA METÀ DEGLI ANNI 90. NEL 1997 LASCI GLI ANGELS, QUINDI CHE SUCCEDE?
Nel momento in cui questo equilibrio, tra overground e underground che ti dicevo prima, si è rotto io e Tina Lepre abbiamo abbandonato gli Angels e ci siamo inventati un altro progetto che si chiamava Artedinamica in un locale che ribattezzamo Dynamic proprio perché prendeva forma con noi dopo essere stato un ex cinema. Qui abbiamo forse fatto la cosa più matura che successe a Napoli per quel che riguarda la mia esperienza.
Tutto quello che avevamo imparato negli anni precedenti l’abbiamo portato alla massima espressione: avevamo sul palco Leopoldo Mastelloni che curava delle piece teatrali che lui chiamava “piece per discoteca” dei veri spettacoli con tanto di sceneggiature e costumi. Questo accadde nel 97/98 e fu anche il modo per me e Tina di identificarci diversamente senza andare a richiamare gli stessi ospiti degli anni precedenti. Musicalmente io misi anche l’attenzione su altre cose tipo Basement Jaxx, Chicken Lips, che poi personalmente mi hanno ridato tantissimo perché suonando Belo Horizonti in una serata con i Basement Jaxx decisero di farlo uscire sulla loro label. E per me fu davvero una bomba.
Quindi tutte queste cose, in maniera fortuita o casuale, hanno generato altre opportunità ed eventi significativi. E come ti dicevo prima è un concatenarsi di cose per cui io faccio sempre fatica a focalizzare un momento preciso perché è davvero difficile. La verità è che c’è una cosa che io posso chiamare solo una grande passione. Io ci credo ancora e vado ancora a mettere i dischi con l’entusiasmo ritrovato, dopo un periodo un po’ buio che io ho legato al boom della minimal. Ma fortunatamente è passato e la mia mancanza di foga verso quel genere è poi stata confermata dai fatti e appunto quella della minimal è stata solo una meteora poi svanita.
OLTRE AD ESSERE STATO IL PONTE TRA ROMA E NAPOLI, HAI AVUTO LA FORTUNA DI GIRARE UN PO’ TUTTA L’ITALIA PORTANDO ALTA LA BANDIERA DELL’HouSE. CI RACCONTI I LOCALI PER TE PIÙ SIMBOLICI?
Io non essendo mai stato resident ho avuto dei vantaggi da questa scelta, supportato dal fatto che, un altro investimento tecnologico fondamentale per me, dopo il famoso fax e dopo le macchine elettroniche, è stato il telefonino. Questa cosa mi rendeva rintracciabile immediatamente e personalmente, che sembrerà una cazzata detta oggi, però era davvero rivoluzionario. I promoter quindi mi chiamavano e sapevano che ero freelance perché non avevo una residenza, quindi andavo ovunque mi chiedevano di suonare. Anche perché l’avere il dj ospite era ormai diventato di moda e mi favorì moltissimo anche nella scena rave romana a cui facevi riferimento tu prima.
L’organizzazione rave che preferivo era quella di Andrea Pelino che poi è diventato l’ideatore del DC10 a Ibiza.
Io non facevo techno ma proponevo a chi faceva rave e mi chiamava di inserire il mio set o in testa o in chiusura dell’evento. Questo mi dava la possibilità di esprimermi con il pubblico dei rave che era molto diverso e che spesso apprezzava più che volentieri, anche perché in quel contesto avevo un approccio all’house che non era esattamente canonico: non house americana molto cantata ma privilegiavo le cose più percussive.
L’house a Roma era vista come un sotto prodotto della musica black, quindi ha fatto più breccia la techno e quindi Lory D, Mauro Tannino, Francesco Zappalà, e tutto quello che è venuto fuori da questo humus.
L’organizzazione rave che preferivo era quella di Andrea Pelino che poi è diventato l’ideatore del DC10 a Ibiza. Io ho fatto solo delle comparse, come ti dicevo prima suonavo o in apertura o in chiusura, anche perché non avrei avuto la capacità energetica che serviva per accontentare quelle folle. Però da osservatore, quale mi reputo e imparando dai colleghi, posso dire che è stato un momento molto importante e Roma si è trasformata molto in quel periodo: i club erano praticamente inesistenti, c’erano solo rave organizzati in posti incredibili, ricordo quelli di Tagliacorso oppure uno a Perugia con un Cirillo che iniziò a bpm velocissimi. Io guardavo sempre con grande ammirazione chi faceva un genere diverso dal mio e mi incuriosivano. Volevo capire il meccanisco per cui una cosa ha successo o meno, che è fondamentale per capire cosa succede intorno a te.
Detto ciò in Italia cosa succedeva: molti locai in iniziano a cambiare pelle, l’Emilia Romagna diede il via a tutto, anche perché c’era un amplificatore formidabile che era il SILB: fiera delle discoteche, la più importante d’Europa, come recitavano i claim dell’epoca e radunava tutti i proprietari di locali d’Italia. Quello che succede oggi a Miami o ad Amsterdam e noi siamo stati i precursori.
Gli Angels che iniziavano farsi sentire in giro, a Napoli erano quasi diventati prepotenti dal punto di vista dell’amplificazione dei loro eventi, erano stati invitati al party del Silb organizzato al Cocoricò e arrivarono con una carovana di fans quasi modello ultrà. Ovviamente suonavo io e appena poggai la puntina sul primo disco viene giù un boato incredibile. Idem anche per eventi in cui suonavo all’estero come la mia residenza al Ministry of Sound o cose che vedo succedere adesso per Joseph Capriati.
Posti che per me sono stati importantissimi, oltre al Matmos, ricordo il Pussy Galore la serata del Venerdì de Le Cinemà di Milano. Il Matmos è stata la culla dell’house music ma il Pussy Galore è stata la mia prima vera consolle come resident a Milano e loro erano di una forza spettacolare: era il corrispondendte del Kinki Gerlinky di Londra, era il the place to be a Milano e mi ha dato un riverbero eccezionale.
Poi c’è stata una fase di adeguamento dei locali tradizionali che erano stati spazzati via da questo movimento house e che quindi, riadattandosi, hanno importato dentro di loro questo genere musicale.
Io ti dico solo che nel capodanno 1997/98 io ho fatto dal 31 dicembre al 2 gennaio io ho fatto 13 servizi, senza interruzione.
Questo è stato il momento della massima espansione e qualsiasi locale con due casse e due faretti che diceva di fare house la gente ci cascava dentro, indipendentemente dalla qualità.
Poi sono nate cose più imponenti come Exogroove e il figlio Syncopate, dove più dj si esibivano nell’arco di 12 ore. Tutto molto interessante finché tutto è diventato un grande businnes e spesso si chiudevano occhi e naso sulle attività collaterali esterne che finirono quasi per mangiarsi la grande iniziativa che si era intrapresa.
Sicuramente poi se penso ad altre città come Torino, mi vengono subito in mente le serate Latin Super Posse di Rob Spallacci e non si potrebbe raccontare Club to Club senza partire da Latin Super Posse. Essere stato uno degli ospiti più frequenti di certe organizzazioni come quelle che ti sto citando è chiaramente un motivo di orgoglio.
appena io fino di suonare in un locale andavo a vedere cosa stavano combinando i miei colleghi e ci si confrontava su cosa si stava suonando.
Poi potrei dirti anche tutto quello che è successo a Jesolo: prima ancora del Muretto c’era il Matilda, altro locale seminale per l’house, e c’era il concorrente del mercoledì del Matilda – dove c’eravamo io e Giuliano Veronese – era la triade che si occupava degli after. Era un momento fantastico dove succedevano davvero un sacco di cose. C’era poi, e questa cosa va sottolineata, una grande complicità e appena io fino di suonare in un locale andavo a vedere cosa stavano combinando i miei colleghi e ci si confrontava su cosa si stava suonando. Una grande complicità nel nome della musica, davvero convinti e investiti della responsabilità che stavamo facendo per far divertire le persone con la musica, che andava oltre il successo personale.
È qualcosa che con i soldi, il marketing e il riconoscere nel movimento house un brand si è un po’ guastato tutto.
PRIMA PARLAVI DI BRAND, SECONDO ME negli anni del boom dell’house e della techno I BRAND ERANO SOLO LA MUSICA E I LOCALI, il pubblico si SI RICONOSCEVA nel club E ci SI AFFILIAVA, TANTO DA TORNARCI SETTIMANALMENTE… COME LA VEDI?
Verissimo e c’è un altro elemento: la disponibilità a muoversi. La gente faceva un sacco di chilometri per ballare, era sì una disponibilità personale ma non c’erano anche i maledetti (o benedetti a seconda del punto di vista) controlli che ci sono adesso o che però hanno segnato una sorta di declino degli spostamenti. Muoversi era soprattutto una necessità derivata dal confrontare e confrontarsi anche dei clienti con altre sale, altre cabine dj, altri club, e quindi era un modo per rendere la festa nazionale e poi anche globale.
Credo che tutto si sia iniziato a deteriorare con il marketing, specialmente quello inglese, quando è entrato a Ibiza. Io racconto sempre l’episodio della prima volta in cui sono sceso a Ibiza e mi è venuto a prendere Josè Padilla che prima di affidarmi la consolle mi ha portato a cena e mi ha spiegato cos’era Ibiza. E me l’ha spiegata come il sacerdote ti spiega come dovrai officiare messa, non era quindi un metter dischi e andare a prendere soldi era proprio una cosa rituale e quasi sacrale, che aveva una dimensione che tu dovevi rispettare. Quindi mi era venuto a fare la lezione su come avrei dovuto approcciarmi.
Poi arrivarono gli inglesi che andarono a colonizzare i club che già andavano bene in maniera spontanea e gli diedero un impronta di marketing. E da lì in poi è stata un escalation perché poi è arrivata anche la tecnologia e i voli low cost a supportare. Era il ’99 e nel tragitto dall’aeroporto all’albergo, vidi solo una successione di cartelloni 6×9 che ormai tappezzavano tutta la strada. Ibiza era cambiata, poi arrivò l’autostrada, l’albergo 5 stelle vicino al Pascià che sembra una sorta di super carcere di Sulmona ecc….
Tutta questa crescita è stata una messa a sistema di sfruttamento intensivo di quello che era lo spirito originario di ibiza che mi aveva raccontato Jose Padilla.
Avendo avuto lui come maestro la cosa non mi ha di certo entusiasmato e da lì arrivare all’EDM il passo è breve. Party o meglio brand come quello di David Guetta nati per uno slogan su una maglietta… incredibile ma vero, dove la musica non c’era più.
In Italia il marketing ha fatto un po’ più di fatica a penetrare, ecco vedi Spallacci è uno serio che fa un festival in maniera seria rigorosa in maniera pesante e non si piega all’esigenza del marketing.
A noi manca da sempre la capacità di sistematizzare e non sappiamo dare un organizzazione manageriale a un businnes, e questo vale per tutti i lavori, è un problema italiano.
NON È CHE PROPRIO QUESTA NOSTRA MIOPIA SUL MARKETING HA FATTO IN MODO CHE TUTTO IL BOOM DI LOCALI CHE ABBIAMO AVUTO NOI IN ITALIA SI INCEPPASSE? NON SIAMO STATI IN GRADO DI NATURALIZZARE NOI DELLE POTENZIALITÀ DA QUELLE TECNOLOGICHE A QUELLE DI BECERO MARKETING…
C’è da dire che la classe imprenditoriale che aveva in mano questi locali quindi queste oppurtunità di businnes non solo non le ha sfruttate di suo, ma non è riuscita neanche a formare una classe imprenditoriale che potesse succedere a loro. Questo ha creato una sorta di arrangiamoci come meglio possiamo perpetuo che poi ha portato al fatto che il locale concorrente del locale X non è a 20 chilometri ma è Ibiza o Berlino. Quindi la gente con la facilità di movimento che ha oggi prende un volo e ciao!
Ma questa è stata un po’ l’evoluzione e non è che possiamo piangere su ciò che poteva essere.
A NOI ITALIANI CI È MANCATA UN PO’ LA LUNGIMIRANZA E LA PROFESSIONALITÀ NEL FAR PROSEGUIRE UN FENOMENO DICO BENE?
A noi manca da sempre la capacità di sistematizzare e non sappiamo dare un organizzazione manageriale a un businnes, e questo vale per tutti i lavori, è un problema italiano. Ho un ricordo preciso per risponderti, un piccolo aneddoto. Incontrai Sven Vath, su un autobus dell’areoporto di Ibiza, e lui mi disse “Ti sei iscritto a Myspace?” e io risposi “Cos’è Myspace?”. Lui mi spiegò e così feci il mio profilo e forse fui uno dei primi dj italiani a farlo e scoprii che loro, tedeschi e inglesi, erano avanti 10 anni su quel fronte.
Noi non abbiamo avuto la capacità di intuire le potenzialità del social media e ricordati che ormai i tedeschi hanno scalzato gli inglesi su questo.
TUTTO QUESTO CAOS È FORSE UNO DEI MOTIVI CHE TI HA SPINTO A RITORNARE AL CLUB QUINDI DIVENTARE UNO DEI SOCI DEL GOA?
Io penso che il club sia il centro di tutto. Tutto il movimento parte dal piccolo club. La dimensione del Goa secondo me è la dimensione perfetta di un club soprattutto se i soci fondatori sono due dj che hanno la loro grande esperienza. Io e Giancarlino abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare dall’80 in poi e io volevo capitalizzare tutta l’esperienza imprenditoriale fatta a Napoli in un club a Roma però con una proiezione anche fuori da Roma. E il mio contributo per il Goa è stato questo. Insieme siamo riuscit a dare una rispettabilità al club, un posto dove la musica è veramente al primo posto nei pensieri di chi organizza il Club. Soprattutto negli anni poco precedenti al fenomeno minimal siamo riusciti a far ascoltare ai clienti del Goa, che erano clienti del locale a prescindere all’ospite, qualsiasi cosa: dai Matmos a Howie B, da Goldie a Gotan Project, in quel momento, siamo nei primi anni Duemila, il Goa era al suo massimo splendore. Tant’è vero che non è stato mai un posto di grandissimoi ritorno economico.
VOI PENSAtE ANCHE ALL’ARCHITETTURA DEL LOCALE?
Giancarlino è il padrone assoluto delle scelte e io sottoscrivo quasi sempre. Scelte sì estetiche di allestimento e arredamento ma sempre funzionali alla musica. Noi quasi ogni due stagioni cambiavamo il design interno del locale. Da qualche anno siamo un po’ sul look dal vecchio circolo di caccia inglese e pure questo dipende da fattori economici ehehehe. Le idee partivano sempre da noi gli architetti li chiamavamo solo come supporto tecnico per rendere un’idea realizzabile.
CI SONO DELLE PERSONE CHE TI SENTI DI RINGRAZIARE?
C’è un elenco infinito a parte quelli già citate. Purtroppo qualche persona si è persa per strada magari proprio per causa del marketing. Una persona molto importante che non ho citato fino ad adesso è Fabietto del Discoinn di Modena, perché quello è stato un punto di aggregazione fondamentale per tutta la scena italiana: il negozio che andava oltre l’idea di negozio che era il punto di ritrovo e di smistamento di idee e di collaborazioni, di inviti nei propri club. C’erano una serie di iniziative che passavano attraverso il Discoinn prima tra tutte il DMC, che ha fatto uscire fuori gente come Lory D, Giorgio Prezioso, Mauro Tannino, Stefano Fontana, Zappalà e il compianto Dj Trip, dj barese di una bravura incredibile venuto a mancare troppo presto.
Un corrispondente romano è Claudio Donato con il suo Goody Music era un altro polo di attrazione per tutto quello che succedeva a Roma, dove si passava a comprare i dischi ma in realtà si chiacchierava di musica, di serate e altro… una serie di nonno di facebook ma non virtuale. Rossano Lucidi con il Made In Italy il party italiano che reggeva il confronto con la festa inglese Manumission.
Non posso dimenticare poi Ale Zeta e Ale Piazza con cui ho collaborato quando ero resident all’Alter Ego di Verona e con cui mi sono inventato un format di serata itinaerante chiamato PopCock.
COME VEDI IL FUTURO DEL CLUBBING?
Ma guarda credo che sia il passato! Essendo un buon osservatore e avendo vissuto il meglio che questa rivoluzione poteva dare da osservatore privilegiato, diciamo che è una previsione abbastanza facile. È ovvio che dopo tutto quello che è successo negli ultimi anni, che io chiamo bolla speculativa, poi si arriverà a una normalizzazione. La normalizzazione unica possibile è tornare a quel concetto di club che vede la condivisione della musica l’atto principale quindi spogliato di tutta quella infrastruttura che oggi diamo per scontata. Io dico sempre oggi che la grandezza in metriquadri dei ledwall è inversamente proporzionale alla qualità della musica.
Quando questo ridimensionamento avverrà saremo tornati a quel club che è stato il valore propulsivo di tutto il movimento e probabilmente a quel punto sarà più interessante partecipare all’attivtà di un club perché in quel momento stai facendo una cosa sola e stai dando valore a quello che il club fa. Ti concentri sul djing sulla tua musica, senza sfogliare troppo l’album delle figurine dei guest che pensi di dove fare, delegando così a loro l’identità del club e il tuo lavoro, e allora se sarai bravo a comunicare questa cosa tornerai a dare un valore al club e al tuo lavoro.