Cocoricò

Sulle colline di Riccione dove oggi c’è il Cocoricò, nel senso di proprio al suo posto, prima ci sono stati il Lex Club e il Fragolaccia, due locali dimenticati, mai riusciti a imporsi nella scena della riviera. Erano all’aperto e ancora privi di quella che sarebbe diventata la maestosa piramide.

Nel 1989 la proprietà passa nelle mani della famiglia Palazzi (che la detiene tuttora) e del socio Osvaldo Barbieri. L’idea della piramide viene a Osvaldo che, di ritorno da un viaggio a Parigi e illuminato da quella del Louvre, decide di realizzarne una a Riccione.

L’idea della piramide viene a Osvaldo che, di ritorno da un viaggio a Parigi e illuminato da quella del Louvre, decide di realizzarne una a Riccione.

Così, con Bruno Palazzi, si fa sviluppare il progetto da un ingegnere di San Marino.
Quando arrivano tutte le autorizzazioni per aprire si dà il via alle danze: è il 15 agosto del 1989 e il locale prende il nome di Le Cocoricò, come il canto del pappagallo. Ma se l’inaugurazione non va benissimo, le altre serate sono anche peggio, ergo il locale chiude di lì a poco.

Riapre ufficialmente il 9 marzo del 1990 con un team e uno staff rinnovati e da lì in poi si impone. La forma piramidale di certo aiuta a rendere il locale unico al mondo, mentre dentro succede di tutto (ma anche fuori, nei parcheggi): da performance tratrali a reading filosofici passando per personaggi della moda e dj set di ogni nome italiano o internazionale che abbia scritto la storia dell’house e della techno. Teatro di più di un videoclip, attrae anche Federico Fellini, che vuole vederlo in cerca di alcune location in cui girare.

Col tempo e dopo diversi cambiamenti di staff e dj, il Cocco comincia a dominare la scena – in più di un senso – con la sua Piramide, che diventa la sala dai ritmi serrati della techno e dell’hardcore, e con il suo Titilla, il privé house.
All’ascesa fino a oggi inarrestabile contribuiscono le genialate della direzione artistica di Loris Riccardi, che arriva fra il 1993 e il ’94. Riccardi è un visionario che dà vita al Morphine, un non-luogo, un privé ambient curato da NicoNote e David Love Calò, nascosto all’estremità della piramide fra i suoni di Ricci e Cirillo, o dall’edonismo di Ralf.
Altri episodi (del periodo ’95/’96) ormai entrati nella leggenda del clubbing coinvolgono i Daft Punk bloccati mentre suonano e cacciati dalla consolle perché non in linea con la musica della Piramide, nonché Aphex Twin fermato da Saccoman durante un live con il socio Grant Wilson Claridge – trovate più dettagli qui. Anche questo è il Cocoricò.

 

Oggi il Cocoricò ha 25 anni, ma adeguatosi all’intrattenimento coevo, quello dominato da dj superstar e impianti audio-video dalla tecnologia impressionante, offre ancora esperienze memorabili grazie all’autorevolezza di un marchio che ha sempre garantito serate cariche di adrenalina e sorprese (anche negative). Oggi come prima; è per questo che è ancora la punta di diamante della riviera. In più di un senso.

 


 

Le foto nella gallery sono un’altra testimonianza storica delle persone che andavano al Cocco. Gli scatti sono del fotografo Enrico Chico De Luigi per un lavoro intitolato “Burning Love” (Cocoricò, 2001-2004) di cui riportiamo la descrizione.

Un lungo piano sequenze su quello che all’apparenza ricorda un girone infernale. Un reportage sull’ultimo stralcio di un’epoca memorabile. Un’epoca dissoluta per quanto vivace e colorata, abitata da personaggi di cui non è ben chiara l’identità, il genere, l’appartenenza. Un locale, il Cocoricò di Riccione, simbolo di una cultura della notte che ormai non esiste più, di un modo di divertirsi depravato forse, ma di certo affatto bigotto. Estrinsecazione di un desiderio di libertà di espressione esasperata da trucchi pesanti e abiti appariscenti.
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